Le luci della centrale elettrica – Coprifuoco
Qualche settimana fa, scrivendo l’articolo su Motta, mi sono imbattuto in un’intervista in cui interpellato sull’odierna scena musicale italiana affermava che un giorno avrebbe detto a suo figlio di ritenersi fortunato di essere vissuto nell’epoca in cui è uscito il disco Terra di Vasco Brondi (alias Le luci della centrale elettrica).
Dell’album avevo ascoltato solo il singolo di presentazione e non mi aveva entusiasmato molto, ma mi ero promesso di ascoltare anche il resto e questi elogi mi hanno motivato a farlo in questi giorni.
Chi conosce l’artista in questione avrà sicuramente già familiarità con il suo modo di scrivere e le atmosfere che delinea, gli altri invece si renderanno subito conto che è uno di quelli che o piace o non piace.
Al di là dei gusti, però, c’è da dire che questo disco è fatto davvero bene. Quando avevo letto che sarebbe stato un misto di elementi etnici e poesia/canzone metropolitana (terminologia mia) ho avuto paura che si trattasse dell’ennesimo tentativo di fare gli innovativi miscelando sulla carta concetti prima ancora che suoni, invece il risultato è stato molto positivo, e contaminazioni che potevano diventare prorompenti e invasive sono state invece adagiate con naturalezza sulle atmosfere pregresse, più malinconiche.
I testi, come sempre, oltre ad essere attuali nei temi sono una continua danza tra il generale e il particolare, tra i massimi sistemi e le piccole cose. Anche qui però, soprattutto per la parte testuale, il gusto personale è senz’altro determinante. Detto questo, prima che sembri che qualcuno mi abbia pagato per questa sorta di recensione, volevo dire che penso che Motta abbia un po’ esagerato, ma in questo disco ci sono almeno un paio di pezzi che mi hanno davvero colpito, come questa Coprifuoco che vi propongo. E Preferisco fermarmi qui, lasciando alla musica il resto, che spesso è la cosa migliore. Alla prossima.