Zeitun – Una storia siriana
Zeitun, oliva. L’oliva è un accompagnamento perfetto per lo spritz ma non solo: in tutto il Mediterraneo, dal Portogallo fino al Libano ed ancora più ad est, è lo spizzico prediletto prima di cominciare il pasto vero e proprio.
Tempo fa ho conosciuto M., che da qualche anno, grazie ad un progetto nelle scuole, racconta la sua storia ai ragazzi delle superiori. M. ha la mia età, ma gli avrei dato più anni. Non tanto per i tratti fisici in sé, quanto perché gli si legge in volto che le esperienze che ha vissuto non dovrebbero susseguirsi in così poco tempo in una sola vita! O meglio: non si dovrebbero vivere e basta.
M. è un ragazzo siriano fuggito dalle carceri di Palmira, nelle quali era finito perché dissidente. In Siria il servizio militare è obbligatorio e l’esercito ha il dovere di sparare sui manifestanti senza chiedere l’autorizzazione a terzi. A M. questo non è andato giù e ha deciso di mollare l’esercito, di ribellarsi così come di ribellavano quelli su cui avrebbe dovuto sparare. Quasi che il rifiuto di uccidere fosse una colpa, viene perseguitato, catturato e imprigionato. Tanti non ce la fanno a sopravvivere alle torture inflitte in carcere a Palmira. Chi non muore per la sofferenza rischia di morire di stenti.
“Ci davano un’oliva al giorno: era tutto ciò che avevamo da mangiare”, racconta M.
Mentre l’amico e interprete che lo accompagna traduce la frase ai ragazzi, io mi soffermo sul suono già noto di quella parola familiare, zeitun. Pronunciata in arabo mi ricorda tartine di pane libanese e labneh, un formaggio fresco, insaporite da zeitun baladi fatte in casa. Raccolte in qualche campo poco distante e lasciate maturare in barattoli per la stagione che verrà. Nella storia di M. zeitun è tutta un’altra storia.
Di fronte ai tanti che non ce la fanno, la minaccia costante che viene ripetuta a M. è: La prossima volta muori anche tu. Mentre le bombe piovono su Homs, M. notte decide di scappare. Si avventura nel buio per non rischiare di essere preso. Anche se è ferito dalle schegge conficcate nella pelle in seguito ai bombardamenti non può rischiare cercando riparo in ospedale: i medici statali, così come tutti i dipendenti pubblici, hanno il potere di arrestare i dissidenti. L’unica speranza è trovare qualche squadra non governativa di aiuto. Per allontanarsi da Palmira si getta in cisterne di gasolio, coperto fino a sopra le spalle affinché anche in caso di apertura dei barili non si noti la sua presenza. Con sé ha una bomba a mano, perché se dovessero catturarlo di nuovo sa che non sopporterebbe altre torture. Nel frattempo, chi si è accorto della sua evasione lancia altre bombe sui civili e partigiani che facilitano i ribelli come M. procacciando loro cibo e medicine.
Prima di chiudere, M. ci mostra la fotografia di un nucleo familiare: una mamma giovane e bella, un uomo, il suo compagno, e i figli. “Questa donna è riuscita a sfuggire ai bombardamenti, aveva lasciato la Siria, ma i contrabbandieri che la hanno salvata poco dopo la hanno stuprata fino ad ucciderla. Era troppo bella, per questo hanno voluto punirla”. Racconta anche di una donna in fuga di fronte agli spari dei militari, di quel sussulto troppo spiccato che ha fatto scivolare in acqua sua figlia, neonata; delle urla disperate per la consapevolezza che nessuno si sarebbe fermato a riprenderla. Ma racconta anche di un’altra bambina, M., che gli è stata deposta fra le braccia nella certezza che con lui sarebbe stata più al sicuro. Gli studenti chiedono come sia finita la storia, e M. ritrova un briciolo di speranza nel rassicurare che la bambina è viva e anche la madre, alla fine, è riuscita a sopravvivere e ad intraprendere il viaggio sana e salva fino in Italia.
Dopo la testimonianza di M. è stato difficile per tutti articolare domande, parole di conforto, espressioni di gratitudine. Qualche insegnante ha chiesto umilmente “Cosa possiamo fare noi?”. La risposta è stata forse banale, eppure l’unica sempre valida: “Noi dobbiamo parlarne, dobbiamo raccontare quello che sta succedendo in Siria e in tanti altri posti del mondo”.
Quel “noi” siamo tutti, sono io, sei tu.
Ogni volta che mangio un’oliva, adesso, penso agli eroi perlopiù ignoti, come M. , nascosti in ogni parte del mondo.