Quando io avevo dimenticato il gelato
Avevo dimenticato il gelato, ero lì con la canotta grigia e la gonna di jeans, i capelli raccolti stretti, in mezzo a persone che si muovevano fulminee dentro una corsia del supermercato, i carrelli della spesa come piccole automobili.
Dietro me avevo il suo respiro, forse il suo sguardo, di certo ormai il suo odore
Appoggiato a una colonna c’era lui: se fossi andata verso la zona dei freezer a prendere il gelato gli sarei per forza passata accanto. Forse lo avrei salutato, come già era successo altre volte quando lo trovavo a fissarmi, o quando mi veniva a cercare; di solito parlavamo insieme in qualche angolo, della frutta o dei formaggi, come due individui qualunque in mezzo ad altre persone qualsiasi, indefiniti dentro le nostre spese.
Le gambe lunghe erano incrociate e molleggiate contro lo scaffale dei giornali, i polpacci grandi e delineati erano lasciati scoperti dai pantaloncini beige che aveva indosso, la polo bianca gli segnava la pancia rotonda e il suo busto sembrava non finisse mai, forse un giorno avrei pensato che solo a guardarlo veniva voglia di abbracciarlo, ma in quel momento lui era solamente una voce eccitante nella mia mente. A me quel suo volto non piaceva, lo avrei quasi preso a schiaffi, così senza motivo, ansiosa solo di stampargli la mia mano su quella sua grande faccia.
Eppure dovevo andargli contro, con ogni respiro del mio corpo volevo spingermi verso di lui, non sapevo cosa stessi facendo o perché, eppure nonostante fossi già in fila alla cassa, mossi i miei tacchi chiari e tornai verso i surgelati, non lo guardai nemmeno, volevo solo percepirlo accanto a me, come un profumo spruzzato nell’aria e ancora lontano dalla propria pelle.
Cercai di assaporare il suo sapore, inconsapevole del fatto che un giorno lo avrei avuto sul mio corpo, dentro il nostro armadio, sotto le lenzuola del letto, nelle sue sciarpe appese per casa.
Non gli diedi nemmeno modo di parlarmi, guardai il frigo, lo aprii e lo richiusi in pochi secondi, mi voltai dandogli le spalle pronta ad andarmene.
Dietro me avevo il suo respiro, forse il suo sguardo, di certo ormai il suo odore. un giorno avrei pensato che solo a guardarlo veniva voglia di abbracciarlo
Poi bastò mezzo secondo, mezzo davvero, ed ancora il sentore delle mie gote rosse, un accenno di cuore più forte, lui mi guardò e mi sorrise fermandomi in quel punto esatto del pavimento, mi disse solo ciao, semplice, caldo, avvolgente.
Gli ricambiai il sorriso e il saluto, e tornai verso la cassa con un sussulto nella schiena, quell’eccitante convinzione di non essere sola nel gioco dell’amore.
Qualche minuto dopo mi passò accanto senza voltarsi e poi a metà strada si girò di colpo, mi si avvicinò così tanto che non potei più evitarlo: mi chiese il numero di telefono così spontaneamente che glielo diedi senza quasi accorgermene. Fu un attimo dirsi di sì, scegliersi in mezzo a tutta quella gente qualunque di cui ormai noi non facevamo più parte, così sigillati in quello sguardo da non capire ancora che noi stavamo iniziando proprio lì, in quel momento esatto, quando io avevo dimenticato il gelato.