In silenzio, vicino a noi stessi
Prima ancora delle parole, suoni e pensieri si mescolano e costruiscono una realtà non meno coerente. Quando mi sembra di conoscere già la struttura elementare dei piagnistei miei e altrui, potendo prevederne le anse non meno delle ansie e lo sgomento lancinante di parole che morbidamente affaticano i movimenti delle labbra, parole abbozzate con tratto isterico, abitate da rabbia e consumate da un inclemente imperativo raziocinante, anch’esso logorroico, allora, la beata e retta strada del restare in silenzio si non-afferma e si trasforma in un’accogliente bolla.
A spegnere la nostra spesso vacillante attenzione, è una marea di stimoli che possono privare i più sensibili della stabilità necessaria ad atti naturali come il respiro. L’esercizio del dubbio si spoglia di senso per diventare una liturgia spossante di negazioni, e contro la semplice logica, si maltratta la propria intelligenza con rimproveri sterili e pressioni ingiustificate.
Penso al silenzio come una forma immanente di meditazione. Quando mi avevano detto che era questo il suo scopo avevo provato l’impulso di classificare l’informazione nella sezione “cavolate new-age”.
A spegnere la nostra spesso vacillante attenzione, è una marea di stimoli che possono privare i più sensibili della stabilità necessaria ad atti naturali come il respiro.
Sappiamo bene che il silenzio ha inizio dalla volontà di assecondare un progetto interiore, un’esigenza che si propaga per effetto di un’emozione condivisa, l’intuizione di un’affinità ancora segreta. La stessa ragione si alleggerisce e più simile all’acqua perde l’impietosa rigidezza iniziale. Il silenzio diventa una momentanea concessione al vuoto, è un intervallo che declina il controllo pacato di sé con una forte intimità. Non mi sento in colpa se non mi appassiono in modo quasi compulsivo a tanti libri o film, se ammetto di non conoscere una novità, ma non per questo ignoro che altre persone possano essere coinvolte da ciò che non mi attrae. Può sembrare egoismo, ma seleziono con cura ciò che può interessarmi da ciò che potrebbe frapporsi. È una scelta, più che di metodo, di sopravvivenza per arginare i tratti petulanti e infantili della mia curiosità. Ciò non mi rende migliore, né mi regala in automatico una bussola per orientarmi nelle opinioni altrui, ma mi facilita molto a distinguere fra ciò che può divenire parte della mia soggettiva realtà e ciò che rimane superfluo, un peso morto.
Il silenzio diventa una momentanea concessione al vuoto, è un intervallo che declina il controllo pacato di sé con una forte intimità.