Tornare
Chi vive fuori lo sa, non importa quanti siano i chilometri che ci separano dalla casa che ci ha visti forse nascere, crescere, inciampare, fare danni; tornare resta sempre un’esperienza complessa.
Si torna ai luoghi di sempre, ai sapori che ci hanno accompagnato per anni, ai visi familiari che hanno assistito ai cambiamenti più imbarazzanti, ai primi amori, ai primi esami eppure qualcosa cambia sempre, ora stride, ora trova una nuova armonia.
Cambi tu. È difficile dire se sei rimasto indietro, se sei andato avanti, se quel rapporto allentato è colpa tua, sua, di quei giorni passati senza scrivere. Quante cose hai sottovalutato e lasciato cadere pensando che tutto sarebbe rimasto cristallizzato nel tempo, che le persone ti avrebbero aspettato così come i luoghi, e invece al ritorno trovi i frammenti del passato non combaciare più con questo presente sempre di corsa, sempre a cambiar forma.
Ad ogni taglio però corrisponde una magia, un riavvicinamento spontaneo, limpido. Conversazioni fitte che riprendono da dove erano state interrotte evitando le frasi di circostanze, le informazioni vuote e i silenzi imbarazzanti. Un’anima che tocca un’altra anima, la apre, ci guarda dentro e non osa toccarla per paura di farle del male, di dire la cosa sbagliata. Una sensazione amara quando sai che te ne andrai, quando vorresti tenere la mano a qualcuno e devi accontentarti della maniera virtuale chiedendo al tuo telefono ciò che non potrà mai darti.
È difficile dire quali pezzi siano andati persi, quanti siano rimasti a casa e quanti siano partiti con me. È anche difficile ricordare quando ho iniziato a chiamare casa entrambi i posti, quando mi sono aperta al mondo. Ho visto le conseguenze senza ricordare il processo, la metamorfosi. Nessun dolore, nessun bruco che diventava farfalla, solo un giorno ho imparato a dire la mia opinione scandendo bene le parole, stringendo la mano con forza, sorridendo senza distogliere lo sguardo. Nomino i sogni, incoraggio gli altri a fare lo stesso, non ho più paura dello spazio che occupo.
Chi vive fuori lo sa, non importa quanti siano i chilometri che ci separano dalla casa che ci ha visti forse nascere, crescere, inciampare, fare danni; tornare resta sempre un’esperienza complessa.
Si torna ai luoghi di sempre, ai sapori che ci hanno accompagnato per anni, ai visi familiari che hanno assistito ai cambiamenti più imbarazzanti, ai primi amori, ai primi esami eppure qualcosa cambia sempre, ora stride, ora trova una nuova armonia.
Cambi tu. È difficile dire se sei rimasto indietro, se sei andato avanti, se quel rapporto allentato è colpa tua, sua, di quei giorni passati senza scrivere. Quante cose hai sottovalutato e lasciato cadere pensando che tutto sarebbe rimasto cristallizzato nel tempo, che le persone ti avrebbero aspettato cosí come i luoghi, e invece quando torni al bar all’angolo vedi i frammenti del passato non combaciare più con questo presente sempre di corsa, sempre a cambiar forma.
Ad ogni taglio però corrisponde una magia, un riavvicinamento spontaneo, limpido. Conversazioni fitte che riprendono da dove erano state interrotte evitando le frasi di circostanze, le informazioni vuote e i silenzi imbarazzanti. Un’anima che tocca un’altra anima, la apre, ci guarda dentro e non osa toccarla per paura di farle del male, di dire la cosa sbagliata. Una sensazione amara quando sai che te ne andrai, quando vorresti tenere la mano a qualcuno e devi accontentarti della maniera virtuale chiedendo al tuo telefono ciò che non potrà mai darti.
È difficile dire quali pezzi siano andati persi, quanti siano rimasti a casa e quanti siano partiti con me. È anche difficile ricordare quando ho iniziato a chiamare casa entrambi i posti, quando mi sono aperta al mondo. Ho visto le conseguenze senza ricordare il processo, la metamorfosi. Nessun dolore, nessun bruco che diventava farfalla, solo un giorno ho imparato a dire la mia opinione scandendo bene le parole, stringendo la mano con forza, sorridendo senza distogliere lo sguardo. Nomino i sogni, incoraggio gli altri a fare lo stesso, non ho più paura dello spazio che occupo.
Sarà stata la lontananza da tutto ciò che conoscevo, l’esigenza di farmi conoscere per la prima volta, l’assenza di un’immagine precostituita, di aspettative. Sarà stata tutta questa carta bianca a sfasare luoghi e persone. Torno a casa, l’immagine di me si sovrappone a quella di figlia, amica, adolescente che fu. Anche i muri di camera mia mi ricordano piccole tragedie amorose che erano il mio mondo, sogni ancora stampati, foto appese di chi oggi non si ricorda più il mio nome. Tornare vuol dire accettare il cambiamento senza avere la presunzione che la clessidra smetta di funzionare solo perché non ci sono. Ora lo so, torno come sono e accetto quel che trovo. Cucio dove posso, tengo la mano a chi mi lascia fare.
Senza più stringere troppo le mani per tenere quanta più sabbia possibile, ora le incurvo quanto basta proteggendo la mia sabbia dal vento, consapevole che qualche granello andrà via.