La fuga di Santa Rosalia
Paolo è uno sportivo, un funzionario pubblico con il pallino della marcia, dopo aver macinato 24 km dei quali sei di risalita, poco ci manca che veda l’arcangelo Gabriele e tutta una schiera di Santi; d’abitudine entra nel santuario più per riprendere fiato che per devozione, siede in fondo, beve un sorso d’acqua prima della discesa.
-Vado via. E subito!
-Cosa? Ma, che dici?
Un coro di campanellini risuona nell’antro poco illuminato. Paolo non crede prima alle sue orecchie e nemmeno ai suoi occhi quando rivolge lo sguardo in direzione delle voci. È tutto un agitarsi di nastrini azzurri e rosa, cuori, polmoncini, occhi, teste e gambette.
Le voci aumentano, si sovrappongono, l’anatomia del dolore sanato prende vita.
Paolo avverte un leggero spostamento d’aria, corrente sulla fronte protetta dalla bandana. Si chiede se non stia esagerando con queste scalate e non abbia le traveggole da stress.
-Non si può fare, non è previsto, e soprattutto non è mai accaduto!
Paolo si rannicchia nella panca, non muove neanche un muscolo, i pochi capelli rimasti si sono messi sull’attenti.
Le cose cambiano. Ormai ho deciso. Sapete che ho la testa dura. – Lo dice mentre si strappa con veemenza la coroncina di rose. Bisogna svecchiarsi, che ‘ste coroncine se le mettono pure per gli addii ai nubilati, ecchecavolo!
Paolo si stropiccia gli occhi, li chiude, li riapre.
– Via queste rose appassite! Qualcuno avrebbe dovuto capire che sarebbe finita così. Ma qui si fa finta di nulla, tutti sordi e orbi. Io non servo più a niente e voi siete ridicoli, vecchi, roba da antiquariato, argento annerito oro vecchio. Ma sapete chi è stato l’ultimo? Ricordate ultima grazia a quando risale?
E certo che no, sono passati lustri.
La voce sembra uscire da un polmone gigante in argento sbalzato, di quelli fatti a mano da orafi antichi, che non ce ne sono più in giro.
Basta un medico compiacente e fioccano le pensioni, meglio invalidi che sani come pesci.
Recupera la coroncina (alla quale in realtà è parecchio affezionata), il vecchio teschio che la fissa con le orbite vuote, compagno di tutta una vita, li infila in una sacca di tela.
-Ma dove andrai?
– Via, via da questa città che non ha più bisogno di me. Adesso si pregano altri santi, di quelli che non stanno in Paradiso, santi da poltrona, altro che San Giovanni decollato, Sant’Onorevole incollato alla poltrona. Anch’essi ricevono gli ex-voto, anzi voti e li ripongono in santuari inaccessibili. Ma dove è il mio bastone? Ah eccolo, questo me lo porto, sono troppo acciaccata dall’umidità di questa grotta e dalla posizione anchilosante. Secoli messa di lato, nella posa di chi riflette e dice: untipreoccuparicacistaiupinsannu.
In un altro sacco, ripone alla rinfusa l’oro e i gioielli.
Che porcherie, gusto pessimo in fatto di gioie, finalmente posso dirlo, mi sento libera.
Certuni pure roba falsa e io grazie false rilasciai, grazie a scadenza!
– Penseranno ai ladri se porti via tutto! E noi? Ci lasci qui da soli?
– Ah, ah, ah, certo che sono venuti i ladri, quelli che si battono il petto con la pistola in tasca, quelli che hanno fatto sacco della mia città (che i pirati erano brava gente in confronto)
Non si stupiranno della teca vuota e della sparizione dei gioielli, penseranno a un furto e mi troveranno pure una sostituta. Faranno una gara, un bando per trovare un nuovo Patrono. Vincerà qualche raccomandato, qualcuno che saprà fare la giusta offerta, lavoro per tutti, ripuliranno l’aria e le vasche di Bellolampo, ricresceranno gli alberi tagliati in sacrificio del Dio Tram, le palazzine fatiscenti restaurate, le saracinesche sollevate e alberi nuovi sul mio Pellegrino bruciato.
E dire che io sono una brava, ho iniziato con una cosetta mica da poco!
La peste, carucci, non un raffreddore, la verità è che nessuno oggi è interessato ai miracoli.
E non pensi alla processione? Quando si è detto mai di un carro senza la sua Santa? Non pensi ai babbaluci che non usciranno più dai gusci, ai mulunari senza angurie da vendere, alle strade pulite perché nessuno mangerà calia e semenza? E i fuochi, i fuochi d’artificio? Spenti.
– Zitti state! Andateci voi per le strade con il caldo che fa il quindici luglio soltanto perché il sindaco di turno possa pavoneggiarsi, istupidire il popolino e permettere a quattro ricconi di farsi il giro in barca per vedere i fuochi dal mare, che fa tanto chic. Ed io sballottata come un naufrago a destra e a sinistra.
Paolo dalla sua panca, vorrebbe dire qualcosa, unirsi al coro, dimentico dell’assurdità della situazione, consapevole dell’imminente fuga della Santuzza.
Resta muto, spera che Rosalia rifletta, che la colga la nostalgia, che le si riaccenda la speranza, ma la Santa è donna di sostanza e di rigore; rivolto un ultimo sguardo alla sua dimora, solleva la mano in segno di saluto.
Sistema le sacche sulle spalle: – per prima cosa passo in un negozio Compro- vendo oro, ho bisogno di contante, tanto quelli non ti guardano e ti pagano e che ci provino a fregarmi, li strafulmino!-
Agata ha prenotato una crociera destinazione fiordi norvegesi, povera cara, è allergica alle ceneri laviche, ha cercato di farlo capire in tutti i modi ai catanesi, ma loro più duri dei palermitani sono. Se il clima ci piace, restiamo là.
Paolo si dà una manata sulla fronte, minchia! Ecco di cosa ha bisogno, di una vacanza.