Alice non lo sa
Alice non lo sa. Non sa da dove proviene quel tono di voce garrulo, e non sa cosa dovrebbe dire. Quanto esporsi, poi? Ha dato un volto a un’immagine mentale che si era delineata a furia di parole. Un’immagine eterea ora è finalmente divenuta carne. Banalmente, crede di trovarsi in un sogno.
Un’immagine eterea ora è finalmente divenuta carne. Banalmente, crede di trovarsi in un sogno.
Nelle calli, si respira un odore umido e appiccicoso, che bagna gli abiti e ammorbidisce l’aria, ingrassa i profili delle persone, sbiadisce la distanza fra i colori, rendendo i muri della città macchie indistinte e oleose.
Questa città è una palpebra che irradia infinite pupille, come lo sono le luci sull’acqua, i lampioni che punteggiano la riva di quello che un inglese ha definito “river”, per via delle anse. Non respira, Alice, distratta dal lento vociare delle sue domande. Non arriverà per tempo. Non ci arriverà, perché ha già dimenticato il nome del palazzo, e le persone sembrano lumache che scivolano stordite dal caldo, e del torpore che il mare trasmette, a chi vi si accosti. Avrebbe bisogno di una barriera protettiva, un uscio nel quale proteggersi, lontana dalla folla, che ignora la propria stessa direzione, ma si muove per inerzia, imitando i propri simili.
“Non sai che dal vivo, le persone non sono sempre magre e sorridenti?” e combatte una battaglia persa con i ciuffi che le tormentano la fronte. Ha fatto cadere di seguito una collana di metallo, forse pure gli occhiali, e teme di essere la persona più giovane, fra gli astanti. Quest’osservazione la mette a disagio, sigilla i pensieri in forme ristagnanti. Ha in mente parole amorfe e stinte. Devastante è il confronto fra realtà e aspettative.
Ha in mente parole amorfe e stinte. Devastante è il confronto fra realtà e aspettative.
Si convincerà poi che l’assenza di linearità sia una macchia che porterà la scrittrice a dire “bah, ecco un’altra mitomane! Mi guarderò le spalle”. Questo solo sa.