Intervista ad Adela Campallo
Primavera 2015. Casa de la Memoria, Siviglia. Incontro Adela Campallo vicino ai camerini per l’intervista concordata.
Un teatro o una peña? Dove ti senti più a tuo agio, o meglio, dove puoi esprimere meglio la tua arte? L’ interpretazione e le sensazioni sono le stesse o cambia qualcosa se ci si esibisce davanti a dieci persone o cinquecento?
È diverso. Una peña è molto più intima, un teatro invece è veramente grande, con le luci, la scenografia e tutto il resto. Le sensazioni, dipende dal giorno e dal momento. Ma di certo non è il numero di persone che ti fa dare di più: si dà tanto sia che ci siano 10 persone che 2000.
Faustino Núñez in una conferenza a Cordova ha sottolineato l’importanza degli appassionati di flamenco stranieri, di quelli che non lo hanno nel sangue, dei turisti, per la sopravvivenza del flamenco e la sua diffusione. Qual è la tua opinione a tal proposito e come vedi l’interesse dello straniero?
È bellissimo. Lo straniero fa parte della nostra vita. Di certo non ci sarebbe posto per tutti noi flamencos nei soli teatri di Siviglia. L’andare all’estero ci dà molto lavoro, come anche l’interesse degli alunni che vogliono scoprire e conoscere sempre di più il flamenco, sia nel cante che nel baile e nella chitarra. Per noi è un orgoglio.
Qual è il palo che più ti rappresenta e perché e quale invece quello che ti risulta più estraneo, se ce n’è uno.
C’è qualcosa che ti stuzzica in ogni palo, anche in quelli meno tradizionali e più “dimenticati” che ho sperimentato, come la galera ad esempio.
Mi identifico molto nella soleá e nella seguiriya, ma dipende anche dal momento.
Certo, la soleá è il baile madre, quello dove ti puoi lasciare andare di più, dove ti fai guidare dalle sensazioni del momento, dagli odori, dall’aria. La soleá è il palo più libero.
Essere maestra e artista. In quale momento senti che stai dando di più all’altro, pubblico o alunno, durante una lezione o un’esibizione?
In tutti e due. Sono due cose che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra, ma mi metto con la stessa intensità sia nell’ una quanto nell’altra, con la mia verità e il mio sentimento autentico.
Il momento più importante e quello che più ti ha emozionato della tua carriera.
Purtroppo tempo fa ho avuto un brutto incidente.
Il ricordo più emozionante che conservo non è stato quando ho ballato di nuovo per la prima volta dopo il recupero dall’incidente: avevo provato molte volte ma era stato solo un peggiorare le cose.
Il ricordo più emozionante è della prima volta in cui me la sono veramente goduta, in cui ho ballato e sono stata veramente bene, dopo l’incidente. È stato in un tablao. Non me lo scorderò mai.
I tuoi maestri, coloro che ti hanno insegnato qualcosa che non dimenticherai mai.
Manolo Marín e José Galván sono stati i miei maestri dell’infanzia.
Poi fin da giovane ho cominciato a lavorare ballando quindi non mi sono iscritta a un’accademia.
Nella mia carriera però ho collaborato con colleghi che sono stati per me anche maestri, mi hanno insegnato molte cose, come Antonio Canales.
Non mi ha mai fatto lezioni ma collaboriamo insieme e in questo modo mi insegna ogni giorno tantissime cose.
Poi Andrés Marín, Javier Latorre, Manuela Carrasco… e poi mio fratello Rafael. Proprio adesso, qui a Casa de la Memoria l’ho visto ballare por tarantos e per me è un libro, un libro aperto da dove imparo migliaia di cose.
Quali sono gli artisti che più ti piacciono della scena attuale del flamenco e con i quali ti piace o piacerebbe lavorare.
Mi piacerebbe tantissimo lavorare con Israel Galván. Da piccola, quando studiavo con suo padre, lavoravamo insieme, ma eravamo proprio piccoli…
Oggi mi piacerebbe davvero tanto lavorare con lui, è un artista che mi colpisce ogni giorno.
Come donna invece, Eva La Yerbabuena: sarebbe come toccare il cielo per me.
Invece, tra quelli con cui ho già collaborato, con moltissimi lavorerei di nuovo.
Le emozioni che provi proprio prima di andare in scena e quelle che sorgono durante lo spettacolo e alla fine, quando tutto finisce.
È un mondo di emozioni. Prima di uno spettacolo c’è nervosismo, anche se sono preparatissima, c’è tanto nervosismo, poi durante lo spettacolo c’è di tutto, la maggior parte delle volte sono sensazioni meravigliose.
Qual è secondo te il modo migliore per avvicinarsi al mondo del flamenco partendo da zero? Teoria, pratica o …?
Con tutte le cose che si possono trovare oggi su YouTube, il modo migliore per avvicinarsi al flamenco è vedere.
Vedere, ascoltare, anche leggere un libro di teoria, ma la cosa più importante è vedere. La vista e l’ascolto sono fondamentali per capire veramente di che cosa si tratta.
La città che rappresenta la tua capitale del flamenco.
Adela mi guarda in un modo un po’ strano e aspetta un proseguimento della domanda, poi risponde: “Siviglia… no?”.
Io rido e le faccio notare la pausa perplessa. Per lei la risposta era scontata.
Allora con una bella risata mi dice: “Io stavo aspettando che lo dicessi tu!”
Tradizione e modernità, dove ti collochi tra questi due poli, cosa pensi della scena attuale e cosa pensi degli “esperimenti”, della fusione di stili? Come vedi la presenza di altre musiche nel flamenco?
È complicato.
Io non saprei dirti dove mi colloco. Mi colloco nella mia verità.
Non sono una flamenca chiusa, per me gli esperimenti ben fatti vanno bene, ma di certo mi dà molto fastidio quando si mischiano le cose senza sapere che cosa si fa.
Magari una persona ha studiato tre tipi di danza e li fonde perdendo l’essenza di tutti e tre. Insomma, quando si fondono le cose senza sapere che cosa si fa si perde l’essenza, si perde tutto.
Quando invece si fondono bene gli stili è meraviglioso, come fa Rocío Molina e altri.
A me può colpire dritto all’anima Farruquito con il suo stile, come lo può fare anche Israel Galván – e sto parlando di due mondi totalmente differenti.
Io chiaramente non sono una bailaora che mischia stili ma neanche una bailaora chiusa. Sono io, nella mia autenticità.
La difficoltà più grande del percorso che hai fatto fino ad ora?
Me stessa. Mi sono posta moltissime barriere.
Ho lasciato stare molte cose per ingenuità, perché non avevo ancora capito che dovevo essere me stessa.
Vedevo gli altri come un punto dove non sarei mai potuta arrivare, invece poi mi sono resa conto che potevo fare tutto.
Dovevo essere me stessa e dovevo imparare a conoscermi. Questa è la cosa più importante.
Qual è il tuo sogno più grande? Hai qualche progetto ancora in sospeso?
Il mio sogno più grande era essere madre.
Ho due figli adorabili.
Il mio sogno è poter crescere i miei figli, con umiltà, potergli insegnare tante cose, poterli aiutare nelle loro sofferenze. Il mio sogno sono i miei figli, la loro vita, la loro felicità.
Chiaramente ho anche dei progetti e sogni riguardanti la mia carriera, ma il mio vero sogno sono loro.
Una persona non conosce nulla del flamenco. Quale disco gli presteresti per presentarglielo?
Del cante gli direi di ascoltare Manolo Caracol: quando lo ascolto mi fa impazzire.
Del baile Carmen Amaya o Pilar Lopez, anche se diversissime fra di loro.
Come mi sarebbe piaciuto vivere in quell’epoca!
Della chitarra Sabicas o anche Paco Cepero quando accompagnava Camarón. Ma ovviamente anche il grandissimo Paco de Lucía.
Io in casa ho tre chitarristi tra cui anche mio marito, quindi ho sempre vicino il mondo della chitarra.
Interpretazione solista o in compagnia? Sul palco meglio solo o con un altro bailaor/a o bailaroes/as?
La relazione con i tuoi fratelli a livello artistico è unica o credi che potresti incontrare o già conosci altri artisti con i quali ti senti perfettamente in sintonia? Quanto influisce il sangue in un’esibizione?
Influisce moltissimo. Siamo cresciuti insieme. Abbiamo discusso, litigavamo per lo stesso pupazzo… Sul palcoscenico si nota.
Ovviamente c’è sintonia con altri artisti, a volte moltissima sintonia, ma con i miei fratelli è diverso.
Il sangue c’è, sta lì, non si può paragonare. Veniamo dallo stesso cordone ombelicale…
Non per tutti i fratelli è così, molti non vanno d’accordo, si odiano. Ma per me invece è un rapporto unico e ogni giorno è diverso sul palcoscenico.
Molte volte sono più nervosa per i miei fratelli che per me. A Torino tempo fa mio fratello apriva lo spettacolo e poco prima che cominciassero a suonare mi è venuto come un groppo in gola e pensavo: “Quanto è bello… Speriamo che gli vada tutto bene!”
È meraviglioso.
Grazie mille ad Adela per questa intima e preziosa chiacchierata!