Il soffio delle balene
Harper era fatto male. Muso quadrato e basette grigie che gli coprivano le mascelle. Calvo e con i denti squarciati da macchie nere di tabacco. Quarant’anni e secco come una canna, occhi celesti come il fondo marino.
Mi disturbava la sua vista e non sapevo il perché. Con tutto ciò, ero certo, quando stavo con lui, di avere la percezione di trovarmi di fronte ad un essere depravato, sgradevole, ributtante, senza per questo trovare da anni un motivo per evitarlo. Anzi, ero attratto da lui per curiosità, forse per ammirazione o desiderio di padroneggiare le strane vicende del mondo.
– Uhm.
– Quest’anno sono arrivate le balene, Harper.
– Uhm.
– Tante. Appena arrivato alla scogliera, guardandole ho capito una cosa importante: non sanno più dove andare.
– Uhm.
– Perdono l’orientamento e si spiaggiano.
– Perché?
– Perdono l’orientamento.
– Fatti loro.
Harper era fatto male. Cresciuto male. Beveva e fumava senza limiti, nonostante una delle sue tre mogli gli strillasse di continuo, anche per strada: “Depravato! Mascalzone!“. Sapevo che, anche dentro casa, le altre due mogli lo picchiavano con calci, pugni e pedate. Qualche volta riusciva a scappare da quell’inferno. Per giorni allora andava in giro nel paese vivendo tra bettole e pensioncine di cattiva fama.
Lo sapevano tutti nell’isola che Harper possedeva una formula per trasformare la sabbia di fiume in ORO.
Aveva inventato una macchina speciale per fare l’oro, una particolare piccola caldaia dentro cui provava da anni a mischiare una serie di scarti e rifiuti ferrosi raccolti per strada riscaldandoli insieme ad un misterioso intruglio liquido. Gli mancava poco per diventare ricco e famoso, diceva.
La formula segreta dell’intruglio era conservata tra le latte di tonno dalla seconda moglie, più giovane di lui di ventidue anni e l’unica sposata in chiesa e forse la sola a volergli un poco di bene.
– Un pasticcio! Harper, senti come soffiano?
– Già. Durerà poco. Presto dalla Russia mi arriverà una nuova macchina.
– Per fare che cosa?
– Uhm.
– Per fare cosa?
– Fatti miei.
– Mah…!
– Leggerai di me sui giornali. Sarò ricco.
– Chissà quanto olio si tira fuori da una balena
– Uhm.
– Una fortuna.
– Me ne fotto delle balene. Io, tra un anno sarò ricco.
Sul bordo della scogliera le balene non avevano tregua. Cercavano di stare l’una accanto all’altra, rotolando sul basso fondale e bramando forse di arrivare al limite della scalinata del porto, probabilmente alla ricerca di aiuto, lente si muovevano tra soffi interrotti da fastidiosi silenzi.
– La vedi quella a sinistra? Sarà una femmina. Vedi? Sta cercando di raggiungere la compagna.
– Non sopravvivrà.
– Le potremmo aiutare. O avvisare gli altri.
– Uhm. Anche i miei figli mi verranno a cercare quando sarò ricco, vorrei vedere la loro faccia: Papà, papà! Come stai… Perché non vieni a trovarci? Mascalzoni, ingrati, andatevene dalle vostre madri a cercare i milioni. Non gli darò un soldo! Che crepino! Partirò, voglio andare in Messico sposare una giovane quinceañera e vivere senza più avere a che fare con tutti loro. Mogli e figli.
– Un’altra moglie? …potremmo chiamare il Sindaco! Lui saprà chi avvisare, qualcuna di quelle balene potrebbe anche sopravvivere e riprendere il mare…
– Amico, le balene hanno memoria. Buona memoria. Avranno le loro ragioni
– Già.
Il tratto in salita della strada verso la sua casa era solitario, con Harper avevamo bevuto e fumato troppo, anche quel pomeriggio. Il portiere sonnecchiava masticando tabacco.
– L’avete vista? Ho un appuntamento con la signorina.
– Chi?
– Lei. L’avete vista?
– Lei? Sono andati via tutti, signore! Anche questo palazzo è rimasto vuoto.