irene
Una donna in un ritaglio di vetro disegna un filo rosso sulla bocca, stringe il labbro superiore su quello inferiore, distribuisce la morbida cera, socchiude gli occhi, il sole la obbliga a essere imprecisa. Non si usano più né guanti né cappelli, delle scatole di talco profumate rimane la sagoma in fondo all’armadio di nonna, dove sedimentano tracce di un mondo estinto, aveva messo il rosso sulle labbra fino gli ottant’anni unico vezzo in un volto rassegnato alla vecchiaia ma non alla morte. A Irene sarebbe piaciuto poter dire che aveva ereditato il colore dei capelli, l’anima d’acciaio, in questo erano sorelle, il sangue spesso è solo liquido che scorre.
Irene e il mondo tratteggiato sulle linee della fronte, percorso con passo sicuro da donna che nessuno deve pensare che barcolli, che ha sposato il nero per non dimenticare un uomo da dividere a metà.
Irene e il mondo tratteggiato sulle linee della fronte, percorso con passo sicuro da donna che nessuno deve pensare che barcolli, che ha sposato il nero per non dimenticare un uomo da dividere a metà.
Le vite viste da lontano appaiono mediocri, ripetitive, di simile ci sono il dolore e la sensazione che l’anima abbia traslocato e tu abiti un guscio vuoto.
Un filo di nero sulla rima della palpebra, qui è più difficile, ma lo sguardo è la prima carezza, la radio immaginifica presenza dal buio del silenzio, apre una finestra sullo sfondo, squarcia la carta da parati.
Negli angoli le case conservano le ombre di coloro che hai amato, si mischiano alla polvere e ne disegnano sui muri contorni sfumati.
Conosce a memoria la sua faccia, le linee che conducono alla vecchiaia vanno tutte verso il basso, basta seguirle. Alita sulle mani il fiato appanna i segni del tempo, smetti di respirare ed è finita.
Durante la notte le vengono in mente idee e parole che scrive sul soffitto.
–Alzati Irene, dice a se stessa – che ti attendono lo sgabello alto, l’aroma del caffè, gli sguardi di gente insonnolita che aspira fumo e liquido bollente come petrolio che incancrenisce polmoni e frasi.
Libri fotocopie, soldi messi da parte per studiare perché così la tua vita sarà migliore e ti chiameranno dottoressa, però poi vattene il futuro non è qui.
È rimasta.
Ride, getta la testa indietro che per un momento sembra la Cardinale prima che la vita le scorresse addosso come un fiume in piena, ride e la voce graffia mura e silenzio. Graffia.
Appassiscono le rose in un dito d’acqua marcia le loro foglie come braccia arrese. Un petalo sbattuto in faccia quella virgola rossa, taglia marciapiedi, scompagina giornali e notizie che le metteranno nel piattino delle mance. Ferisce un cuore speranzoso, quella rima nera, che scodinzola e mendica uno sguardo, tu gli offri una linea nera netta.
Indossa l’abito di ogni giorno ed esci, Irene. Ti scontrerai contro teste basse, scortesia sorrisi e la gentilezza che stupisce.
Sorridi al giovane che sbatte tazze e piattini, e riempie di rumore il vuoto del mattino lavando il malumore di chi resta appena un istante. Pulisce bene perché il male di vivere è contagioso.
Solleva la saracinesca e le spalle. C’è tempo. C’è sempre tempo per chi deve guadagnarsi la vita.