Vecchiaia
Vecchiaia è un paio di occhi che si accendono, sono quelli di sempre. Carichi a volte d’ira, a volte di domande non poste, di ordini un tempo dati, ora solo strozzati. Occhi che cercano qualcosa roteando pupille, prima di fermarsi stancamente su un puntino apparentemente vicino e invece perso nel vuoto. Si ricacciano in gola le lacrime di fronte a quel che resta di quella esistenza, un mare infinito finito nel nulla, su una zattera senza meta. Occhi rimasti uguali, mentre il resto, dentro e fuori, è tutto cambiato.
Vecchiaia è raccontare di barche, scherzi, amici, ragazze, di 60 e 70 anni fa. Come fosse stato ieri, farti sentire lì, in mezzo alla scena, in quel fluire di dirompente vitalità. E poi non ricordare quello che è stato detto il giorno prima, o dieci minuti fa. E poi non sapere che anno è, che mese è e magari chiederti dieci volte come si chiamano le persone intorno. E poi quegli occhi -ancora loro- che improvvisamente si perdono e la voce che chiede ma che ci faccio qui?
lo dobbiamo fottere il tempo, e le malattie, e quel declino così prepotente, pensa di poter vincere sempre lui.
Vecchiaia è tu che sbotti e urli all’ennesima richiesta sconclusionata ripetuta infinite volte in pochi minuti e dopo un istante ti senti una merda. E poi un giorno è il compleanno, o la festa del papà, carichi tutto e tutti in macchina, sedia a rotelle, nonni e nipotini, e li porti in gita. In campagna, o in quell’agriturismo in collina, dove non ci sono le famigerate barriere architettoniche e non ci ferma il tempo che è passato, no! Ci andavamo prima e ci torniamo ancora. Non ci ferma quel fisico ormai così minuto, e non ci fermano gli acciacchi, la stanchezza, lo dobbiamo fottere il tempo, e le malattie, e quel declino così prepotente, pensa di poter vincere sempre lui.
Vecchiaia è rivedere il bambino che eri e realizzare che non sei più tu adesso quello che si appoggia, che chiede il perché di ogni cosa, che fa i capricci e punta i piedi, adesso tocca a te essere “grande“. Che in fondo, se dentro ti senta cresciuto davvero o no, importa poco; poche storie, è tempo che ricambi un po’ di tutte le volte eri tu ad appoggiare il tuo passo incerto.
Vecchiaia è voler fermare il corso del tempo ed essere miseramente impotenti. Che già toccò ad altri prima di lui e un giorno toccherà a te e ci sarà qualcuno, se sarai fortunato, a parlarti e commuoversi con te, come tu adesso con lui. Senza dimenticare mai, mai, neppure per un momento, che è sempre e comunque vita, fino all’ultimo istante, e merita di essere vissuta al meglio possibile.
Vecchiaia è sentirsi così fervidamente vivo nei ricordi, ma non più nella realtà. Se solo riuscissi a trovare la ricetta magica per trasmettere tutta quella esperienza, tutta quella saggezza accumulata, a beneficio di chi ami, perché non commetta i tuoi stessi errori. E sapere invece che li farà tutti e diversi, lui che è così diverso eppure così uguale a te.
Vecchiaia è… silenzi intensi per lunghi minuti. L’impotenza di trovare persino le parole da dire, oltre al rimedio contro il tempo.
Vecchiaia è sentirsi così fervidamente vivo nei ricordi, ma non più nella realtà
Vecchiaia è qualcuno che va via con il nodo alla gola dicendo “torno presto“, e qualcun altro che resta e vorrebbe bloccare quel che resta della sua famiglia, prendergli un braccio e chiedergli “rimani ancora un po‘”. Invece lo lascia andare, un bacio lieve sulla guancia e le solite parole: “stai attento, non ti preoccupare per me, ci sentiamo presto, figlio mio”