Incontro ravvicinato con la realtà
Devo essere sincera, non sono mai stata pronta per la realtà. Ho sempre fatto quello che mi piaceva, ho studiato per piacere, letto per piacere, e anche quando la vita prevedeva qualche sveglia all’alba e qualche ora di sonno in meno a me non importava. Guardavo al fine, sentivo la pianta del sapere mettere delle flebili radici tra cuore e cervello e crescere timida un po’ alla volta.
Anche i viaggi in treno impastati di sonno, di ritardi, di pioggia in giornate senza ombrello diventavano aneddoti, una scusa per chiudersi al bar vicino all’università. Con lo stesso entusiasmo mi sentivo pronta al mondo del lavoro, della caffeina, al mondo dei grandi in cui avrei potuto lanciare manciate di positività e di vita.
Avrei dovuto leggere meno libri, guardare meno film, scrivere meno, viaggiare meno, parlare con meno stranieri
Mi hanno detto che sentirsi frustrati è un buon segno, significa che non ci vogliamo accontentare. Sono belle parole, dolci e un po’ finte. Chiudi gli occhi, datti un pizzicotto ché tra due giorni è venerdì, non pensare troppo. Lamentati e basta, come fanno tutti, come da sempre gira il mondo negli uffici con i neon sempre accesi e le pareti sempre più grigie.
Non ci sto. Non ancora. Avrei dovuto leggere meno libri, guardare meno film, scrivere meno, viaggiare meno, parlare con meno stranieri. È troppo tardi ormai per accettare che la vita inizia dopo le cinque, dopo l’ufficio. Sempre dopo quello che manca per essere felici. Scappo in queste parole, in storie fatte da persone incredibilmente coraggiose. Me ne sono già andata, anche se ogni mattina continuo ad alzarmi presto e a dirigermi nello stesso posto. E anche lì, in qualche modo inspiegabile, non tutto è perduto. Raccolgo storie, tic, sogni spezzati, viaggi non finiti, mastico tutto lentamente fin quando usciranno dalle dita storie degne di essere lette.
La verità è che nessuno sa realmente dove stia andando, ma fingere è più rassicurante. Io non fingo più.