Se saprò anche io di mamma
Ho pensato spesso se saprò anche io di mamma da quando avendone ricordo, narici e occhi, abbracciando mia madre, le ho detto di quanto lei sappia, da sempre, teneramente di mamma.
Il suo profumo indescrivibile la porta a non avere essenze definite che la possano rappresentare, nessun nome preciso da poter dare a quell’odore che entra nella pelle mentre annuso i suoi maglioni o le sfioro i capelli, quando entro in camera sua per rubarle qualche gioiello e il profumo dentro la stanza si fa memoria di tutti gli attimi vissuti insieme.
Da bambina mi immaginavo madre con un pensiero naturale e roseo, giocavo con passeggini gialli e bambolotti azzurri non realizzando appieno che forse un giorno, anch’ io, avrei potuto essere scia di essenze indescrivibili e di ricordi incancellabili, evocati in quel momento solo da mia madre.
mi guardo la pancia, me la immagino rotonda chiedendomi se anche io saprò di mamma
un giorno anche io avrei potuto essere quella scia di essenze indescrivibili e di ricordi incancellabili
Facciamo un figlio.
Lo disse con una naturalezza così sicura e piena da farmi tremare.
Mi chiese un figlio quasi immediatamente lì in quel letto, e poi ancora altre volte, tra le pareti di casa e le portiere della macchina, mentre eravamo in fila al supermercato o quando vedevamo bambini passeggiare per strada, allegri e con delle guance piene irresistibilmente belle.
Passavamo pomeriggi a fantasticare sui nomi da dargli, se sarebbe stato maschio o femmina, se attribuirgli un solo nome, o magari due, se chiamarlo come i nostri nonni, se sarebbe assomigliato al suo papà o alla sua mamma. Lui che sicuramente per quel figlio avrebbe smesso di fumare, io che avrei iniziato a cucinare pappe, ridurre la cabina armadio, pensare a noi due incastrati nel volto di quell’essere minuscolo che ancora non era nato e già mi spaventava.
Cosa potevamo dargli noi in quel momento?
Era una domanda alla quale non sapevo dare risposta; l’uomo che avevo accanto mi guardava contento intimamente sperando che fosse maschio, mentre giocava con il mio collo e in un attimo anche lui tornava ad essere un bambino.
Io gli dicevo che per me era troppo presto, lui mi ribatteva che mi avrebbe aspettato per tutto il tempo di cui avrei avuto bisogno, che sarei stata la madre dei suoi figli e che non importava tanto il quando ma il decidere di mettere al mondo quel figlio che ci avrebbe legato all’eternità.
Lui aveva sette anni più di me; io, appena ventenne, sapevo di poter aspettare e insieme comprendevo la sua voglia di farsi uomo, di creare una famiglia. Mi chiedevo quanto avrebbe saputo aspettare. Diceva che i figli si fanno con la pancia, e forse aveva ragione, non solo e non tanto fisicamente parlando, ma metaforicamente, in riferimento alla parte di leggerezza e incoscienza che devi avere per fare un figlio: se ci stai realmente a pensare, probabilmente non lo farai mai.
se ci stai realmente a pensare, probabilmente non lo farai mai.
Ci vuole la predisposizione, oltre il tempo stesso, a crescere una persona che da lì in poi dipenderà sempre da te, per esserne la guida che ne farà entrare l’anima nel mondo, per accettare la responsabilità di accompagnare una persona nel percorso della vita, in cui noi tutti entriamo e dal quale prima poi noi tutti dobbiamo uscire.
Fare un figlio vuol dire sostanzialmente non essere mai soli e assicurargli che con te neppure lui sarà mai solo. Chi è realmente in grado, a questo mondo, di garantire a qualcuno che non sarà mai solo? Quella stessa solitudine da cui partono tutte le nostre paure, che un figlio racchiude e che poi espelle quando nasce. Quella stessa solitudine che ritorna quando capiamo che non potremo sempre preservarlo da quegli stessi sentimenti che hanno toccato anche noi prima che lui arrivasse.
La magia di un figlio è che non dovrebbe, mai, nascere dalla solitudine. Un figlio nasce dall’unione omogenea e variegata di due persone, è un atto di condivisone verso la vita, dentro la coppia e poi attraverso il mondo. Un figlio è uno degli atti d’amore più potenti contro la solitudine. Quando una coppia decide di fare un figlio non dovrebbe mai sentirsi sola, né con se stessa né nel corso della sua vita, perché quel figlio chiede un legame esclusivo ed esige il diritto di un amore non solitario.
Se con il nostro compagno ci spingiamo fino a dividerci in due, con un figlio ci sforziamo di aprirci in ogni sfaccettatura, come un libro che lui può sfogliare a caso o in ordine, su cui può fare le orecchie alla pagine per ricordarsi di quel punto da cui ogni tanto si allontana per farsi persona indipendente, su cui può scrivere degli appunti per sottolineare i nostri errori, che può chiederci di leggere più e più volte una stessa identica pagina, solo per capire meglio.
Un figlio è uno degli atti d’amore più potenti contro la solitudine
E ora che sono diventata donna, una donna maggiormente libera per alcuni ambiti e più completa per altri, ogni tanto mi tiro su la maglietta e mi guardo la pancia. Sfiorando il ventre lo immagino tondo, e mi chiedo ancora se anche io saprò di mamma quando avrò quel figlio che solo adesso riesco ad immaginare chiarissimo e nitido nella mia vita, così vivo e reale come non ero mai riuscita a pensarlo quando ero impegnata a far nascere me stessa prima di lui. Prima del figlio che fortunatamente non ho avuto ma che auspicabilmente un giorno avrò.
E lo porterò a spasso, con mio marito accanto, in un passeggino tutto giallo.