L’arte di procurarsi problemi senza risolverli affatto
Tutto ha inizio nel lontano 1987, avevo sette anni.
Era una delle prime recite natalizie che io ricordi.
Dovevamo, ognuno a turno, raccontare in due frasi una tradizione e dire Buon Natale nell’idioma del paese che ci era stato assegnato.
Io avevo il Portogallo.
Bambina inquieta e sensibile, mi sentivo all’avvenimento più importante del mondo. Al mio personale debutto in società.
Le valutazioni geopolitiche ed economiche che mi portarono all’età di sette anni a queste conclusioni, oggigiorno mi sono completamente sconosciute.
Mentre aspettavamo di essere chiamati in scena, ho ascoltato per caso una chiacchierata delle due maestre che ci seguivano, sembrava che l’opera risultasse troppo lunga e magari sarebbe stato necessario tagliare qualche stato.
Io avevo il Portogallo porca miseria, mi avrebbero tagliata fuori.
Le valutazioni geopolitiche ed economiche che mi portarono all’età di sette anni a queste conclusioni, oggigiorno mi sono completamente sconosciute. Ero ormai certa di questo e mi sono fatta prendere dal panico.
Un fermoimmagine farebbe capire che è stato proprio quello l’inizio del mio talento più spiccato e del motivo di tante tribolazioni che mi avrebbero accompagnato lungo tutti questi anni.
Io non avevo sentito che il Portogallo sarebbe stato silurato, ma nella mia testa è scattato il momento eureka del metodo, poi diventato arte, del procurarsi dei problemi senza risolverli affatto, ma anzi complicandoli all’inverosimile.
Continuando a crogiolarmi sulla mia sorte malvagia, ho pensato a quale nazione avrebbero potuto salvare queste amare registe decise a stroncare la mia carriera d’attrice agli esordi e ho individuato in Juan l’anello debole della catena. Era il bambino biondo arrivato un anno prima nella nostra scuola.
Mi sono avvicinata a lui con fare sospettoso.
– Ho sentito che le maestre non sono contente della tua interpretazione, gli ho detto. Forse vorranno che ci scambiamo di paese. Tu farai il Portogallo e io l’Argentina.
Lui è rimasto a guardarmi come se gli avessi appena tolto di mano una caramella pregiatissima.
– Ma io sono argentino, mi ha detto.
– Lo so, gli ho risposto, ma l’ordine arriva dall’alto, ho detto io. Magari cerchiamo di imparare la parte l’uno dell’altro in caso che questa terribile sventura avvenga.
Juan non si è fatto intimorire dai miei approcci poco ortodossi, ma anzi è andato dritto e senza indugio a raccontare tutto alle maestre che, dopo avermi rassicurata sul fatto che avrei avuto i miei due minuti di fama mondiale per dire Buon Natale! in portoghese, si sono scambiate un’occhiataccia che pareva dire “a questa l’abbiamo persa”.
Si sa che a sette anni siete dei casi perduti. Si cresceva così nella giungla degli anni ottanta.
Questa tendenza a procurarmi dei problemi senza risolverli affatto, ma anzi, creando tra A e B (chiameremo A il problema e B la soluzione) una linea curva e ricurva e intricata a più non posso, è diventata in me un’arte pregiata che condivido con voi in due esempi a seguire.
Procurarsi un problema e tentare di ricominciare da capo.
Se c’è una cosa che può rassicurare sul fatto che due siano fatti l’uno per l’altro è che non appena usciranno fuori tutte le demenze dell’uno, di cui si è sempre segretamente al corrente, l’altro le abbraccerà dentro il suo innamoramento senza timore, essendo in uno stato avanzato di incoscienza.
Così, forte della sua incoscienza e della fiducia nel caro Google che viene incontro a tutti gli smarriti, decido di non leggere alcuna indicazione ma di stampare il primo percorso che mi propone, quello panoramico. Sbagliato.
Così preparo, stampo e studio il percorso da Palermo a Ficuzza per un weekend in agriturismo. Io e il mio fidanzato abbiamo lavorato tutta la settimana e partiamo alle sette di sera stanchi e contenti al pensiero della cena di benvenuto. Non è la prima volta che vado lì, ma il mio futuro marito ancora non sa che non possiedo completamente il senso dell’orientamento e che ho difficoltà anche a ricordare la strada di casa.
Così, forte della sua incoscienza e della fiducia nel caro Google che viene incontro a tutti gli smarriti, decido di non leggere alcuna indicazione ma di stampare il primo percorso che mi propone, quello panoramico. Sbagliato. Che non fa nessuno. Arriviamo così a Piana degli Albanesi a un’ora circa da Palermo e iniziamo a pensare che la strada non sia quella giusta. Chiediamo a una coppia di passanti:
– Non è questa la strada, ci dicono sghignazzando.Cioè da qui ci arrivate, ma dalla trazzera. Non ci arriverete presto.
– Non si preoccupi, rispondo io prontamente, torniamo indietro e facciamo la strada da capo.
Lo sguardo del mio amato compagno, che prima brillava di romanticismo si fa scuro. Lui, mi fissava con gli occhi sbarrati. Brutto segno, penso. I suoi occhi mi ricordavano vagamente quello delle mie maestre, con una punta in più di disperazione.
Ma da uomo coraggioso e innamorato disse, scelgo la trazzera amore, tu non ti preoccupare.
Siamo arrivati circa due ore dopo. Niente cena. Un viaggio che doveva durare in tutto cinquanta minuti.
Procurarsi un problema e improvvisare.
Qualche tempo fa, camminavo tranquillamente sotto i portici di Via Ruggero Settimo a Palermo, quando vedo da lontano una ragazza che mi saluta calorosamente. Io aguzzo gli occhi per mettere a fuoco e cerco di dare rapidamente un nome a quel volto. Il deserto.
Mentre la ragazza si avvicinava, il panico ha preso il sopravvento e la mia testa ha deciso autonomamente di associarla a una persona che non vedevo da tanto tempo, ma i cui lineamenti mi sembravano similari.
Lei mi ha chiesto come stavo, io le ho risposto bene e tu, la famiglia come va e in questi discorsi futili ci siamo perse per circa venti minuti nei quali ho cercato in tutti i modi di mantenere il discorso il più neutrale possibile per evitare di incappare nelle cosiddette figure di merda.
Alla fine ci siamo salutate.
– Va bene Valeria, che bello averti rivista, le ho detto.
– Io non sono Valeria. Mi chiamo Roberta e volevo proporti un corso per migliorare la memoria a breve termine.
Traggo un paio di conclusioni da queste storie, tanto per chiarirci:
se non riconoscete una persona, ditelo subito.
Quella Roberta, se qualcuno la conosce, è un genio del male. Statele alla larga.
Nessun bimbo argentino e nessun futuro marito sono stati traumatizzati dalle mie capacità diciamo intricative.
Anzi. Davanti ad altre scene magistrali delle mie, il mio amato e valoroso cavaliere della trazzera rimane ormai a osservarmi con un misto di rassegnazione e curiosità. Dice che scriverà un libro più avanti sui danni permanenti al cervello dati dall’eccesso di commedie romantiche anni novanta e spritz sulle giovani menti.
Pare che i problemi possano essere risolti con una semplice linea retta da A a B. Quasi sempre.
Ma se siete della mia specie e amate il curvo e ricurvo, vi invito a contattarmi. Apriamo un club, freghiamocene del pensiero lineare, abbracciamo il caos, gli alberi e cantiamo tutti insieme.