la valigia
Rubarono la valigia con i miei manoscritti a una stazione di frontiera, e non seppi mai se le mie parole avessero varcato il confine o fossero rimaste a marcire in un fosso, magari in un canale. Se così fosse stato avrei forse avvertito l’eco del loro smarrimento. Avrei udito il grido d’orrore per l’improvvisa e muta solitudine. Mani ignare e impunite afferrarono quel cuoio malconcio, e s’illusero contenesse oro.
Rapina? No. Morte di ciò che non poté mai vedere la luce. Oblìo per pensieri che tacquero per sempre.
Rapina? No. Morte di ciò che non poté mai vedere la luce. Oblìo per pensieri che tacquero per sempre.
Maledizione! Se avessi passato tutto al Word invece di usare penne e miriadi di foglietti volanti. Avevo infilato tutto in quella valigia di cuoio masticato dagli anni, scovata tra i cimeli di mio suocero, profumava ancora di un dopobarba estinto come lui. Anch’io su quel treno, timorosa di intraprendere un lungo viaggio, avrei appiccicato la mia faccia come fanno i bambini al finestrino e avrei scritto sul fiato.
Nella carrozza dapprincipio ero sola, dopo qualche fermata una coppia di ragazzi si era seduta di fronte a me. C’eravamo osservati distrattamente. La ragazza con il ciuffo dritto verso l’alto aveva aperto un libro. Ipod alle orecchie, in sintesi il senso della vita. Lui invece masticava ossessivamente un chewin gum facendo delle bolle verdi che gli scoppiavano sulla faccia, con le dita scrostava la sottile pellicola dalle labbra e ricominciava imperterrito. Il paesaggio veloce intanto parafrasava lo scorrere dell’esistenza stessa.
Non riesco a collocare nel tempo l’istante esatto in cui trafugarono la mia valigia. Fu forse quando la monotonia del paesaggio riuscì ad assopirmi?
Non riesco a collocare nel tempo l’istante esatto in cui trafugarono la mia valigia. Fu forse quando la monotonia del paesaggio riuscì ad assopirmi? O quando dovetti rispondere all’urgenza di recarmi in quell’orribile toilette ondeggiante? I ragazzi erano lì e assistettero indifferenti al mio disperare. Non si erano accorti di nulla. Io sentivo i miei occhi dilatarsi e un nodo in gola che mi impediva di parlare.
Quella notte nell’aria bruciarono carta e parole. Quella notte un vecchio sdentato picchiò un ragazzino con una valigia secca come un osso, dalla quale erano usciti soltanto fogli vergati da una minuta e fitta grafia. L’uomo ricoprì il giovane d’insulti e lo fece dormire all’addiaccio come un cane rognoso, questi raccolse la carta e la gettò nel fuoco che ardeva giorno e notte nell’accampamento e in cuor suo maledisse l’aguzzino e me.