Trenta
Trenta.
Nessuno vedrà le mie calze scivolare lungo la carne morbida, la piega della coscia che risale e segna il confine. Le accavallo, perdo l’equilibrio, sento che la mente galleggia, i miei organi interni fluttuano nel liquido amniotico che accoglie questa passione. Piove o c’è il sole? M’importa poco, anzi non m’importa. La cupola dell’ombrello impedirà a chiunque di sorprenderci. Un tetto, un nido capovolto, d’ombra e patto, quello che le labbra sigillano in silenzio. Il respiro accelera, il battito aumenta, e le fibre nervose si dilatano, si allungano, non oppongo resistenza. Sulle tue ginocchia appoggio la schiena, rovescio indietro la testa e la tua mano salda accoglie la mia nuca.
Il respiro accelera, il battito aumenta, e le fibre nervose si dilatano, si allungano, non oppongo resistenza.
Non sento l’asprezza della pietra, né la brezza tra i rami insistente. Ho chiuso le palpebre, ti ho già dentro gli occhi. Un’impressione permanente. Signorina regga meglio quel manico, e lei signore stia fermo, altrimenti viene mossa.
Unisca bene i piedi, e lei non si preoccupi se il cappotto non la copre abbastanza.
Alla fine coloreranno la foto, mi raccomando le labbra.
Trenta anni c’erano voluti per allargare le gambe, gettare una chiave, profanare un’idea.
Trenta per leggere nei suoi occhi che, in fin dei conti, era bastato avere pazienza per dimostrare che ero come le altre.
Non era stato facile, l’elastico va avanti fino a un certo punto, poi torna indietro. Si era rotto nel momento sbagliato. Com’era stato? Il cuore e il cervello, separati in casa, facevano vita a sé e il meccanismo di rimozione, (quello che le consentiva di continuare a vivere), era già al lavoro.
Si erano ritrovati insieme, soli, ma non diciamo cazzate, non aveva fatto nulla per evitare che accadesse, si era lasciata prendere.
Aveva anche ironizzato con se stessa: agli uomini a una certa età cala la vista, hanno meno esigenze. Il fisico appesantito di lui sarebbe stato l’alibi per giustificare il seno di lei che aveva visto tempi migliori – per fortuna i reggiseno di oggi mantengono le promesse – il buio avrebbe fatto il resto. Il tatto? Quello era un problema, non sapeva se sarebbe riuscita a ingannare le sue mani, era certa che conservassero la memoria del corpo di un’adolescente. La memoria è accomodamento, e le mani a un certo punto cominciano a tremare.
Tirarsi indietro? Non hai mica sedici anni. Carla non essere ridicola, disse tra i denti. Una manfrina durata trenta anni per venti minuti scarsi, e lui che la guardava pure strano.
Tirarsi indietro? Non hai mica sedici anni. Carla non essere ridicola, disse tra i denti. Una manfrina durata trenta anni per venti minuti scarsi, e lui che la guardava pure strano. Mi sta bene, pensò con quel senso di colpa che è seconda pelle per le donne, soprattutto se sposate.
Trent’anni di preliminari cerebrali avrebbero richiesto qualcosa in più, colpa della sua lingeria domestica (che aveva ringraziato il cielo che le mutandine non fossero bucate), che le sue unghie erano l’unica cosa rimasta soda.
Lui sembrava meditabondo, assente, forse stava facendo l’amore con una ragazzina inesperta, non con questa estranea. Non con lei che non chiudeva mai gli occhi, perché bisogna avere tutto sotto controllo. Stavolta, sì che li aveva chiusi. Stretti, serrati. Vecchi amanti? Solo vecchi. E dopo? Il dopo presuppone un prima e non era quello il caso. Le disse preoccupato: controllati il seno, fai un’ecografia (non aveva perso le abitudini). Un istante appena di sorpresa dissimulata, e in fondo gli fu grata per questo. La meccanica dell’amore, la sintesi di un incontro rimandato. Futuristico passato. Un imbarazzo vecchio superato dall’insinuarsi di una preoccupazione nuova. Lei non gli disse che gli uomini sono tutti uguali senza mutande, e che la legge di gravità e più equa della giustizia. Nemmeno che è il sogno ripetuto ciò che t’impedisce di commettere un errore. Non gli disse neppure che non lo considerava un tradimento. Il sentimento quello, era fuori discussione.
Non avrebbe tollerato un uomo diverso dal marito con il quale svegliarsi e addormentarsi. Non gli chiese nemmeno dove fossero finiti l’abbandono, il desiderio, i sussurri, le carezze e quel senso d’infinito, che poi che cazzo vuol dire senso d’infinito?
Pensò che avrebbe fatto come le donne che giacevano con D’Annunzio (pettegolezzo raccontato da un amico scrittore). Sarebbe tornata a casa e avrebbe vomitato.