Incontro con Athos Bigongiali: verso Il Clown
L’incontro con Athos Bigongiali è avvenuto nei giorni antecedenti il Natale al Caffè del Teatro Verdi. Al momento di accordarci sul luogo, che doveva essere a Pisa, entrambi avevamo evidentemente in testa proprio quello, legato alle nostre attività. La scrittura e il teatro, passioni che ci hanno avvicinato.
Ma se devo dire dove è iniziato l’incontro con Athos per me, devo tornare indietro al sette di gennaio del 1994. Quel giorno lontano giravo per la città di Pisa post-natalizia in cerca, come accadeva spesso, di libri da portarmi dietro al rientro in Germania. E fu così che da uno scaffale presi una copia di Veglia Irlandese, il romanzo di Bigongiali uscito nel 1993 per i tipi di Sellerio. Io che non avevo ancora letto Una città proletaria, la sua opera prima “varata” da Elvira Sellerio stessa con grande entusiasmo, conoscevo allora l’autore come figura di impegno politico e culturale; aprendo il risvolto di copertina trovai una presentazione a firma di Antonio Tabucchi che iniziava così:
«Probabilmente Borges avrebbe amato questa storia. È la storia di un traditore e di un eroe, a seconda dei punti di vista: lo stesso uomo che visse nella sua movimentata e clamorosa esistenza le due opposte facce della stessa medaglia».
Lo scontrino a quei tempi era un francobollo e la busta del negozio di plastica. Cosa che non faccio davvero mai, decisi di sacrificare la seconda di copertina di “Veglia”
Appena preso il Corso verso l’auto, incontrai però un compagno di studi universitari che non avevo più visto dai tempi delle aule stracolme e degli appunti presi velocemente dalla bocca di un professore, che non era solito mettere le informazioni necessarie per l’esame in dispensa. Con l’idea di scambiarci i recapiti, frugammo le tasche e le borse per un fazzoletto di carta, un qualcosa sul quale prendere appunto, ma senza successo. Lo scontrino a quei tempi era un francobollo e la busta del negozio di plastica. Cosa che non faccio davvero mai, decisi di sacrificare la seconda di copertina di “Veglia” per dividerla con l’amico e scrivere indirizzi. A quel tempo non avevo il cellulare, posso dirlo con sicurezza. Di tale gesto così insano per una che ha religioso rispetto della carta stampata misi memoria sul libro stesso.
In seguito a questo “incontro” ho letto e apprezzato molte delle opere di Bigongiali, che ho seguito anche dalla distanza imposta dal mio (e dal suo) errare per paesi lontani tranne poi tornare sempre al legame con le “nostre” città toscane: Pisa e Livorno. Ricerco con convinzione da sempre il contatto e lo scambio con gli autori che mi sono di riferimento: riconoscerli maestri e avvicinarmi a loro è percorso di crescita e coscienza.
Ho incontrato e ascoltato Athos con grande interesse nella primavera 2016 in occasione della riedizione ampliata di Una città proletaria per i tipi di Mds Editore. In quell’occasione ebbi modo di mostrare anche a lui lo scritto sulle pagine di Veglia Irlandese, ed è stato motivo di gioia vedere il suo stupore.
La stima per Athos come autore e come uomo di pensiero e il suo legame di amicizia con Antonio Tabucchi hanno reso più importante un incontro-scambio con lui al momento in cui preparavo la mia raccolta di racconti di prossima uscita, che avevo deciso di dedicare a Tabucchi stesso. Era come se, al momento di licenziare quelle storie verso una vita letteraria, avvertissi il bisogno di un vis-à-vis e di una sua impressione, e così torniamo all’appuntamento al Caffè del Teatro Verdi dal quale siamo partiti.
Da principio con lui abbiamo parlato proprio di musica e di teatro. Io incuriosita dal destino dei ben due pezzi di teatro ( prosa e musicale ) tratti a suo tempo da Una città proletaria, e andati in scena sul palcoscenico pisano, proprio lì dove ora eravamo seduti e dove io per anni avevo girato tra camerini e scena; lui dalla attività di manager che mi ha portato a contatto con tanti personaggi della musica internazionale. Athos fu colpito in modo particolare dalla storia di quando portai Philip Glass a mangiare in una rosticceria dei Quartieri Spagnoli a Napoli, che confesso resta anche per me una delle preferite, insieme a quella di quando fumai una sigaretta col Maestro Muti nel camerino della Filarmonica a Monaco di Baviera solo per spalleggiarlo, perché era vietato fumare e non voleva sentirsi solo, e parlammo di casi privati e insignificanti io e lui senza nemmeno un mezzo scagnozzo solito a fare da piantone.
gli “eroi-antieroi” dei romanzi di Bigongiali credono fermamente in quello che fanno, che siano consapevoli o meno della rovina o della disillusione, della difficoltà o talvolta dell’assurdità di quello che stanno per compiere
Ho chiesto a Athos cosa pensa di questo periodo storico attuale in cui i giovani e l’impegno sembrano così distanti, dove la politica sta nelle bocche per rappresentare qualcosa di sporco e deleterio, troppo spesso. Lui ha risposto che si è sempre invece ritenuto e si ritiene uno scrittore politico, designazione ancora degna di onore.
Scorrendo attraverso le storie da lui scritte e da me lette siamo approdati in qualche modo a una che invece non conoscevo e che lui considera tra le sue molto importante, il romanzo Il Clown edito da Giunti nel 2007, una storia che lo ha portato a visitare una fabbrica dismessa della Volvo a Stoccolma ma che lui ha anche ricollocato nelle vicinanze di casa sua, tra Pisa e Livorno.
L’interesse per le vicende di fine carriera di Jerry Lewis (attore molto amato da mio padre) e il suo film “The Day the Clown Cried”, che l’attore auto-produsse firmando in qualche modo la fine della sua fortuna cinematografica, data dalla difficoltà della stoffa e l’insuccesso che ne derivarono, hanno condotto Athos sulle traiettorie della costruzione narrativa de Il Clown, che da quel giorno mi è rimasta in qualche modo “dentro”. Tuttavia oggi è impossibile trovare il libro in commercio. Così Bigongiali ha acconsentito a parlarmi del romanzo. Nel seguito di questo post, sarà Athos stesso, con una sua nota e qualche pagina del libro, ad accompagnarci attraverso il fascino del racconto. Anticipo qui un primo pezzo della nota di presentazione e vi attendo per proseguire con lui e il suo “Clown” la settimana prossima sempre in questo spazio.
Il clown
Un romanzo di Athos Bigongiali
con:
Raul Piccolomini, il clown
Marie la ballerina, sua moglie
Norma, la padrona della pensione ‘Alla Giornata’
Ombretta, danzatrice del ventre e addestratrice di serpenti
Flora, ex attrice, agente cinematografica
Proietti, produttore cinematografico
Kurt Oppenheimer, produttore cinematografico
Arlette, assistente del produttore Weissberger
Nathaniel Weissberger, produttore cinematografico
Helmut Doork, o Helmut il Grande, clown tedesco
Hans Gelber, consulente per il film di Jerry Lewis
I due Nefeli, ristoratori ebrei
Michel, fotografo di scena
La donna cannone e altri artisti circensi
Gli attori e le maestranze del film di Jerry Lewis
e, nella parte di se stesso, Jerry Lewis
Il romanzo si svolge nell’arco dei dodici mesi dell’anno 1972 ed è ambientato a Pisa e Livorno(e dintorni), a Parigi, nel villaggio immaginario di Lillestrom (Stoccolma) e sul set del film The Day the Clown cried
Nel 1971 Jerry Lewis era diventato un autore cinematografico di qualità. I suoi film non sbancavano più i botteghini ma, in compenso, i cineasti della Nouvelle Vague e i critici dei Cahiers du Cinema e di altre riviste francesi e europee avevano scoperto un geniale innovatore del genere comico e un artista engagé, anche riguardo alla politica degli Stati Uniti d’America: così era stato accolto il suo ultimo film, Scusi, dov’è il fronte? (titolo italiano), dove Lewis aveva interpretato, tra gli altri, Adolf Hitler.
Risale a quell’epoca la sua idea di girare un film sulla vicenda di un clown tedesco di nome Helmut Doork.
Venuto a conoscenza del soggetto, scritto da Joan O’Brien, Lewis congedò immediatamente i progetti precedenti e si lanciò nell’impresa.