Il femminismo ha un cappello da mariachi
Se mi è rimasto qualcosa impresso degli anni ’90, a parte una nostalgia esagerata ogni volta che sento un intro musicale con sintetizzatore e chitarra, è l’immagine che per me segna più di ogni altra cosa il senso di ciò che è il femminismo: la mia bisnonna con un cappello da mariachi, che canta una canzone d’amore messicana. Credo si intitolasse Marìa Bonita o giù di lì.
Era il suo novantaquattresimo compleanno.
Io la guardavo, seduta sui primi gradini della scala di marmo di casa sua. E pensavo che lei fosse una donna fortissima. Risoluta.
L’idea che avevo nella mia testa faceva decisamente a pugni con la sua fisicità da scricciolo, il caschetto bianco, il viso pieno di rughe e la dentiera.
Lei, visto che ormai spolvero il mio album di foto pubblicamente, verrebbe a essere la madre di quella mia zia, proprietaria del cane stronzo di cui vi racconto in un’altra storia.
Adoravo quella casa.
Quella volta al suo compleanno ho pensato a quanta leggerezza ci fosse nel suo canto felice.
Lottava contro ogni senso di modernità che tentasse di avanzare nel mondo. La porta si chiudeva ancora con una sbarra in ferro e i mobili non si sognavano di lasciare quella dimensione vittoriana della Bogotà degli anni ’50. Sui tavolini del saloncino c’erano porcellane di pagliaccetti, anatre e ballerine, sopravvissuti a diversi conflitti gravitazionali. Nel secondo piano c’era un parquet scricchiolante e malmesso e le finestre avevano ancora dei pesanti infissi metallici dipinti di bianco, che non riusciva mai ad aprire nessuno.
Quella volta al suo compleanno ho pensato a quanta leggerezza ci fosse nel suo canto felice, nonostante tutto.
La bisnonna era rimasta vedova a poco più di vent’anni con una figlia negli anni ’20 a Bogotà; non me la vedo come la situazione più ideale. La Colombia oggi, nel 2017, è quel paese in cui il femminismo appare ancora come un vezzo europeo fricchettone ed elitario. Si è risposata qualche tempo dopo ed ebbe altri tre figli, cresciuti anche loro con storie piuttosto travagliate.
La prima figlia è mancata molto giovane, un’altra è diventata madre single e l’altra ancora decise di andarsene a vivere negli Stati Uniti, sposata ad un uomo manesco che la lasciò da lì a poco e che avrebbe costretto la bisnonna a prendere per la prima volta l’aereo a circa sessantacinque anni e a stare un periodo in una città come New York di cui non conosceva lingua e costumi, per aiutare sua figlia.
“Acuèrdate de Acapulco de aquellas noches, Marìa Bonita, Marìa del alma”, mia zia le aveva portato quel complesso mariachi come regalo e lei si era lasciata mettere in testa quell’assurdo cappello messicano mentre intonava la canzone con una voce che a me suonava antichissima e stentata, ma dalla quale lei non lasciava trasparire grande fatica. In quei tempi già non stava molto bene, ma a semplice vista non dava segni di ansietà o stanchezza, nonostante la sua veneranda età.
Nessuno sano di mente si sarebbe avvicinato a questa dozzina ogni volta diversa di zie e prozie e amiche riunite.
Casa sua si trova in un quartiere chiamato Quinta Paredes a Bogotà, un posto caotico e centrale, nelle vicinanze dell’università pubblica da dove partivano sempre le proteste più violente e politiche del tempo. Noi eravamo quasi ogni domenica da lei; io avevo sempre un po’ di remore ad andarci e soprattutto a ritornare col buio, perché dovevamo attraversare metà città attraverso strade non proprio amichevoli.
Eppure una volta dentro casa sua, mi ritrovavo circondata da un esercito di donne dove ogni senso di timore svaniva. Non poteva davvero succedere niente. Nessuno sano di mente si sarebbe avvicinato a questa dozzina ogni volta diversa di zie e prozie e amiche riunite. Mai nessun maschio nei paraggi.
Ora mi rendo conto che la loro forza era legata al senso di sicurezza di chi si sente invincibile e protetto dal Divino Niño, la Virgen di Fàtima, tutti i santi del paradiso e tutti i morti da dieci generazioni in giù ai quali si dedicavano lunghissimi e bisbigliati rosari.
Io ho pensato soltanto, ma come diavolo ha fatto ad aprire quella finestra?
L’estate del 1998 è stata l’estate in cui sono partita per l’Italia ed è capitato spesso di passare a pranzo da loro e poi stare il pomeriggio a farci compagnia. Poco prima di partire ero in quella fase in cui mi sembrava che il mio viaggio dovesse condizionare l’esistenza di tutti quanti in famiglia. Forse l’ultimo pomeriggio passato insieme, dopo pranzo, siamo andate nella sua stanza a riposare. Lei si è distesa sul letto e io mi sono seduta accanto, predisposta ad ascoltare saggi discorsi sul mio futuro, ai quali avrei risposto sbuffando con la solita aria adolescenziale del “so già cosa devi dirmi”.
– Accendi la televisione, mi ha detto.
– E io ho risposto, sì certo nonna.
– Bene, ora stai zitta che c’è la telenovela.
Il giorno della partenza sono passata a salutarla prima del volo.
Mi sentivo invincibile e ho intimato tutto l’esercito delle donne di non piangere. Lei ormai non riusciva più ad alzarsi dal letto.
L’ho salutata e sono salita in macchina.
Quando stavamo per partire mi sono girata e lei era affacciata al balcone a salutarmi con la mano.
Io ho pensato soltanto, ma come diavolo ha fatto ad aprire quella finestra?
Quella è stata l’ultima volta che ho visto la mia femminista preferita.
Perché pensando a lei col tempo, ho capito che il mondo verrà salvato dalle donne.
Perché in un futuro fantascientifico, mettete che l’ignoranza e l’aggressività prendano il controllo di internet e delle nostre vite, portando masse di persone spaventate e intolleranti a scegliere presidenti maschilisti, omofobi, classisti e razzisti. Ma senza andare tanto lontano, considerate che potranno esserci momenti in cui certi maschi riterranno che siamo inutili, pericolose, cattive autiste, ansiose, incapaci di gestire la nostra famiglia, cattive madri, fragili, pazze.
Considerate che storicamente è già avvenuto e avviene continuamente, ma allo stesso modo, ricordate che quasi sempre sono state scriccioli chiamate Rose, Anna, Rita, Simone, Giusi…Barbara, a rispondere senza paura, fregandosene. Pensando al presente. Vivendo la loro vita in modo amorevole e totale. Cantando.
Penso sia importante ricordarlo.