L’incredibile Søren o concepire follie d’amore
Ho pezzi di cuore sparsi dappertutto e, ultimamente, faccio un’enorme fatica a raccoglierli un po’ per il verso giusto e a mettere ordine.
Poi, come capita nelle migliori famiglie, il caos supera livelli di guardia. Allora l’incredibile Hulk che c’è in me, così lo ha battezzato mia moglie, scatena la sua ira rabbiosa e guai a chi si trova nei paraggi.
No, non è che io sia pazzo e vi assicuro che perfino i cristalli di casa non rischiano mai nulla. È solo che, almeno ogni tanto, devo ancora imparare come fare i conti con le mie angosce prima che si trasformino in brutti ceffi verdi e muscolosi. La vista dei quali non deve essere piacevole per nessuno, immagino. Insomma, mi sa che è meglio raccogliere qualche pezzo di cuore sparso qua e là, e tentare di fare un po’ d’ordine.
Ne raccolgo uno, adesso, e incontro il riflesso di una Copenaghen di metà Ottocento avvolta nella nebbia e una figura nera di uomo solitario che rientra a casa, dopo una lunga passeggiata. Si tratta dell’ombra di Kierkegaard.
Soltanto un’ora prima Søren ha piantato in asso una Regine disperata e in lacrime, dicendole ti amo e ti amerò per sempre. Sono fidanzati da un anno, tutto va per il verso giusto, si parla già di matrimonio in casa Olsen. E lui se ne esce così, con una frase del tipo: ti lascio perchè il nostro amore duri per sempre. Cose da pazzi. Il nostro uomo, mentre chiude la porta che cigola alle sue spalle, si aggiusta lo spirito con pensieri tipo: Cara famiglia, la famiglia Olsen, forse solo un po’ incline ad eccessivi attacchi di isteria collettiva.
Finalmente al riparo dal freddo, non è che gli rimanga poi molto da fare se non buttarla sulla commedia. Appende il soprabito elegante e consuma il piatto di ironia amara che si è procurato, con cui accompagna le aringhe che Victor, il servitore anziano e curvo, gli ha apparecchiato per cena. Ottime veramente, meglio se abbeverate da un calice di champagne dolce, per riequilibrio di gusto.
Nessuno capirà mai il gesto di un uomo innamorato che sceglie di frantumare una storia d’amore.
Troppo complicato provarci. Molto più semplice derubricare alla voce follie da filosofo.
Lo faccio anch’io, e poi raccolgo un altro pezzo di cuore e penso che vada bene così.
Penso anche che, in questi giorni di estese follie planetarie, poche raggiungeranno il livello di quella dell’uomo solitario di Copenaghen. Forse, giusto un paio di cosucce. Nessuno capirà mai il gesto di un uomo innamorato che sceglie di frantumare una storia d’amore.
Mettere al mondo un figlio, per esempio.
In effetti si tratta, per così dire, di un’altra pazzia col carico da novanta: un’alzata di genio meravigliosa ed epica.
Mettere al mondo una nuova libertà! Ma cosa c’è di normale?
Eppure così si comincia, col fare una pazzia e si continua facendone un’altra, un’altra e un’altra ancora.
No, questo non significa che ho in mente di procreare una squadra di calcio, con riserve comprese.
Dico soltanto che così si comincia e si diventa ciechi d’amore e quindi può succedere di tutto.
Con la vista impedita dalla sublimazione del ghiaccio, bisogna stare attenti: dal ghiaccio alla nebbia è un attimo, lo sappiamo bene noi frequentatori assidui dei mari del Nord.
Concepire un figlio è pazzia da radice capovolta! Radice piantata tra solchi trasparenti di cielo. Mettere al mondo, è scelta sopraffatta. Sopraffatta, sì.
Perchè nessuno mai vive una cosa simile senza sentirsi spezzato, all’improvviso sopraffatto dal peso intero dell’Universo. Ma altro che nebbia, qui è mistero fitto, delicato, sublime.
O forse pensava, semplicemente, al dolore alla spina dorsale e a quella ostinata umidità avvolgente e sospesa sul selciato e i canali di Copenaghen. Di certo, avrà deciso di adottare un piano di salvataggio, per giustificare almeno di fronte a se stesso quello che aveva appena combinato. Come, per esempio, scrivere due righe per raccogliere acuminati frammenti di cuore sparsi un po’ dappertutto.
E adesso eccomi qua, con questi pezzi di cuore tra le mie mani.
Kierkegaard e la sua follia d’amore.
Il sottoscritto e concepire la vertigine di una nuova libertà.
Si può trovare da qualche parte un duello più magnifico di quello che incrocia le lame di due follie?
Con raffinata eleganza l’una scaglia all’altra il guanto di una sfida impossibile.
Per conto mio sono pronto. Accetto la sfida a colpi di aringhe salate e calici di champagne. Lo so che è un duello destinato a non avere nessun vincitore. Ma mi pare che, visto che si tratta di follie d’amore, le cose adesso appaiono almeno un po’ più chiare. C’è un senso a questo curioso approdo dei miei pensieri:
Chi si getta in braccio a una follia d’amore ha solo da stringerla più forte che può.
Hulk è lì che mi guarda combattere una lotta all’ultima aringa con il fantasma di Kierkegaard e così lo tengo buonino e non nuoce a nessuno. Mentre, alla faccia del suo bel muso verde, sorseggio bottiglie d’annata una dopo l’altra, in compagnia dell’ombra sfuggente del solitario di Copenaghen: amore e libertà, spezzare e far nascere, concludere e concepire.
Perchè nessuno mai vive una cosa simile senza sentirsi, all’improvviso, sopraffatto dal peso intero dell’Universo.
Ma questo è solo un brindisi tra amici e forse, anche stavolta, faccio prima a salvare alla voce follie da filosofo.
Quanto sei strano, mio caro Hulk, con le tue paradossali manie!
Quanto siamo fratelli improbabili anche noi due, mio incredibile Søren!
A distanza di secoli ci siamo adottati. La mia angoscia sfida il tuo calice, sollevato in alto. Tu brindi ai tuoi fantasmi danesi, Amleto, Regine e compagnia danzante.
Io ai miei presentimenti leggiadri, alle anime libere che già sono in viaggio, alle belle attese che già mi solleticano il mento con nuove carezze di bambina.
Vieni qui, amore nuovo, ho solo da stringerti più forte che mai.