La guerra di Troia spiegata sul bus
Me ne sto pigiato su un sedile esposto agli spifferi che dal finestrino dell’autobus affliggono il mio corpo in un immoderato e pure immodesto inverno padano, quando gli occhi mi cadono sullo schienale del seggiolino antestante il mio. Un’anonima espressione artistica si erge diritta per venti centimetri e oltre. Un miliardo di anni fa si sarebbe potuto pensare ad una divinità virile, ma ad oggi pare chiaro a me e ai miei compagni di viaggio che quel tratto di Uni Posca nero altre fattezze non possa avere che quelle di un cazzo da muro. Pochi centimetri a destra una dedica toglie ragione ad ogni dubbio: Elena sei una troia.
Ai miei compagni di viaggio le dimensioni del membro destano non poco imbarazzo. Un tipo brizzolato e imponente suggerisce ad una signora che ai suoi tempi del sesso v’era più consapevolezza e mai ci si sarebbe sognati di designare con tale epiteto una povera fanciulla. E della di lei risposta, strabordante fantasie di ordine rigoroso e ahinoi perduto, queste righe preferiscono tacere.
Inutile dire che a riguardo delle loro argomentazioni ho non poco da dire. Prendendo spunto dalla citata Elena, sarebbe alquanto istruttivo imbastire la storia della di lei guerra: Troia.
Per cominciare, cari amici di autobus, vi vorrei ricordare come coloro erano un tempo preposti a governare gli uomini usassero sì metodi alquanto severi, ma che contribuissero alfine a creare ancor più caos e pestilenze sulla terra. E si comportassero pure da gran bastardi. Prendiamo il capo di tale combriccola divina, un tipo sfolgorante di nome Zeus il cui hobby preferito era avere rapporti sessuali con qualsiasi forma di vita. Si narra, ad esempio, che la madre di Elena fu stuprata da un cigno maniaco che altri non era che Zeus in tal guisa incarnatosi. E la stessa guerra di Troia era in origine una simpatica idea di sua divinità per togliere di mezzo un po’ di gente, che in Grecia ultimamente ne girava troppa. O almeno, dall’Olimpo così pareva. Con tali geni non c’è da stupirsi se Elena fosse così frivola.
Comunque io preferisco un uomo al comando di tutto e tutti, un decisionista insomma, mi dice l’uomo brizzolato. Ma Zeus non è un uomo, gli faccio io. Talvolta ha fatto l’uomo, certo, ma solamente per esigenze pelviche.
Ed ecco che Zeus, miei cari compagni di viaggio, fa si che la dea della discordia, una vecchiaccia acida di nome Eris, non sia invitata al banchetto di nozze di Peleo e Teti, genitori di Achille. Questa, prima di mandare tutti a farsi fottere, lancia nel bel mezzo del banchetto una mela con su scritto: alla più bella dell’universo. Si fanno avanti tre dee, le più cliccate su YouOlimpo, e per evitare di rovinare le unghie ricostruite sulla pelle delle avversarie, decidono che sarà un uomo (si era forse offerto pure Zeus, travestitosi da toro da monta) a scegliere la più bella.
Si presentano tutte ignude a tale Paride della città di Troia, di cui risentiremo parlare, e poiché il giovane, arrapatissimo, non era in grado che di sbavare, decisero di aiutarlo offrendo ognuna una virtù in cambio del proprio nome. La spunta Afrodite, la quale promette a Paride la donna più bella del mondo: Elena. E dire che le altre lo avrebbero coperto di virtù belliche che manco un carro armato, piuttosto che del potere su mezza Asia. Quando si dice la f.
La Signora borbotta qualcosa su Paride. Gli pare di averlo visto qualche giorno fa in un programma pomeridiano su Canale 5. E pure Afrodite c’era. Ma non ha scelto Afrodite. Si chiamava Francesca. Forse mi sbaglio, suggerisce.
Tanto fa il giovane Paride, figlio di Priamo re di Troia, che riesce a prendere per sé la bellissima Elena. Ma c’è un piccolo particolare che a quel bellimbusto di Paride, più adatto ai troni televisivi che a quelli politici, è forse sfuggito: Elena è la moglie di Menelao, re di Micene e fratello di un tipino tosto di nome Agamennone. E Micene è allora la città più ricca e importante della grecia. E Troia non è propriamente una città greca, in quanto sorge sulle coste dell’attuale Turchia. E ai greci la Turchia è sempre stata sui coglioni, anche quando non era ancora Turchia.
L’uomo brizzolato butta lì qualcosa sui musulmani, dimostrando di non aver capito un cazzo di niente. Imbastisce pure un discorso sulla cavalleria degli uomini d’un tempo. Non capisco dove l’abbia vista in tutto ciò. Ma comunque.
Per i greci diviene insomma una crociata. Tra di loro ci sono due personaggi di cui avrete sentito parlare: Achille e Ulisse. In verità inizialmente non fanno una gran figura: sia l’uno che l’altro provano a imboscarsi per non
E Troia non è propriamente una città greca, in quanto sorge sulle coste dell’attuale Turchia. E ai greci la Turchia è sempre stata sui coglioni, anche quando non era ancora Turchia.
Anche Ulisse ha visto signora? In televisione? Ma non mi pare il tipo. Quello dev’essere Alberto Angela, Signora.
Inizia la guerra e per nove lunghi anni achei (così erano chiamati i greci) e troiani si scannano senza risolvere nulla. Tra le fila dei troiani si distingue Ettore, fratello di Paride, che però commette l’errore di accoppare Patroclo, amichetto di Achille. Ora, Achille era il miglior guerriero di sempre, una sorta di Maradona della spada, ma aveva soprattutto un piccolo problema a contenere gli scatti d’ira. Quasi manda a puttane la guerra degli achei solamente perché Agamennone se la voleva spassare un po’ con la sua schiava Briseide. C’è voluto Ulisse a far sì che Achille tornasse a combattere. Comunque ecco Achille dare fuori di matto sotto le mura di Troia nel tentativo di spaccare la faccia a quel farabutto di Ettore. E tanto fa che alla fine Ettore esce e Achille lo accoppa in duello. Tanto è il rispetto di Achille per lo sconfitto che ne usa il cadavere per pulire il pavimento attorno alle mura di Troia e poi si porta all’accampamento quel che ne resta.
Il nemico è pur sempre un nemico ora e sempre e non starei a formalizzarmi troppo, dice il tipo brizzolato. E un cazzo da muro è un cazzo da muro ora e sempre, rispondo io.
Il povero Ettore se lo sarebbero mangiati i topi se Achille non si fosse fatto impietosire da Priamo, il padre di Ettore, che rischia la vita per chiedere ad Achille la salma del figlio. Tutta la guerra di Troia, lo dico soprattutto a lei Signora che vedo spuntare un Harmony dalla sua borsa, è segnata da inusitati slanci di amicizia e di amore. Da una parte gli eroi achei e troiani si scannano, dall’altra piangono per amore e si commuovono davanti all’esternazione di un sentimento. Rappresentano tutti noi: l’ira di Achille, il coraggio di Ettore, la voglia di f. di Paride. Comunque da lì a pochi mesi Achille muore colpito da una freccia scagliata da Paride, che per lo meno una cosa buona per i suoi l’ha fatta.
Come poi la guerra è finita lo sapete tutti: quel gran figlio di buona donna di Ulisse (che usare il termine troia mi pare fuori luogo) si inventa lo stratagemma del cavallo per espugnare l’imprendibile Troia. Gli achei si lasciano andare ad ogni nefandezza e sacrilegio. Aiace Oileo stupra Cassandra sopra l’altare di un tempio. Si difende dalle accuse dicendo che comunque quella lì portava sfiga e ogni volta apriva bocca c’era da toccarsi le palle. Ma gli Dei, a cui tanto per cambiare è scappata la situazione di mano, s’incazzano un attimino con i nefandi achei e con Ulisse in particolare e decidono che se dieci anni di guerra ad Ulisse non sono bastati per mettere giudizio, altri dieci di viaggio per tornare nella sua Itaca ne deve scontare. E un paio di corna a firma dei Proci iniziano a spuntare sopra i riccioli suoi. Ma questa è davvero un’altra storia.
I miei compagni di viaggio sono scesi dal bus senza che il disgusto per il cazzo da muro li abbia abbandonati. E, soprattutto, senza che di Troia abbia potuto spiegare niente. Calco il mento contro la lana della sciarpa e chiudo gli occhi. Ettore era tutto sommato un brav’uomo eppure ha fatto una brutta fine. Priamo era un buon re eppure Troia è stata spazzata via da quel cane di Ulisse, che comunque non ha pagato per le sue malefatte se non con una crociera nel mediterraneo.
Oppure non è così. Una signora si siede sul sedile incriminato e il graffito erettile scompare. Oppure il destino è sornione, lento, ma giusto. Narra la leggenda che Enea, un troiano, scappò da Troia in fiamme e fondò quella che sarebbe poi diventata Roma. In quanto ad Ulisse, ci pensò Dante a metterlo all’inferno. Troia non cadde con le sue mura. Così Ettore, Priamo, e tutti gli altri. Più di tremila anni dopo il troiano sventurato regno e d’Ilio il fiore è nella memoria di tutti.
Forse della Signora no.
E Zeus? Che dire, occhio al gatto. Lo vedo un po’ troppo accaldato ultimamente.