Quella volta che…
Poca gente che cammina per la strada oggi. Una volta ci sarebbe stato più movimento, il clima non avrebbe fatto paura, ma ora fa freddo, tanto freddo. Veleggiamo intorno ai meno dieci gradi e io non faccio che sognare l’estate, le palme, cieli azzurri come questo sì, però con un sole caldo, non congelato come di questi tempi.
Nemmeno la neve si fa vedere, ha deciso di traslocare tutta al sud come un bianco uccello migratore che ha sbagliato strada.
Non che mi dispiaccia troppo… La neve sta bene in montagna, sul viale di casa mia magari no, che poi mi tocca spalare.
Niente neve, niente caldo, tanto freddo e ghiaccio. Tipo freezer. Stalattiti gelate lungo le grondaie, dentro i tombini. Dov’è la mia isola deserta con annessi spiaggia bianca e mare cristallino, quel luogo che non c’è o forse c’è, dove l’inverno è solo un perfetto sconosciuto?
Per fortuna me ne sto al caldo, al sicuro in casa.
Fuori è pericoloso.
Infatti.
Noto subito l’anziana signora che cammina facendo lo slalom tra le macchine parcheggiate anche sui marciapiedi, secondo l’incivile moda tutta nostrana. Avvolta in un cappotto fuori moda che la veste due volte e in uno scialle nato forse due secoli fa ha in una mano una borsetta voluminosa, nell’altra una busta della spesa, pure piuttosto ingombrante. Mi fa tenerezza e un po’ di compassione: possibile che nessuno l’aiuti?
Mentre penso ai rischi che può incorrere una persona così fragile, accade una delle ipotesi che velocemente mi avevano attraversato il pensiero. La donna scivola, forse su un tratto ghiacciato e finisce a terra. Nessuno intorno a darle una mano. Chi vuoi che vada in giro con questo freddo? Aspetto due secondi per vedere se si rialza da sola, ma non ce la fa. È in evidente difficoltà, quasi non si muove e mi spavento. Mi precipito a vedere di persona come sta
Nel breve tratto di strada che separa la porta di casa mia dal punto in cui la nonnina è caduta mi tornano in mente in un attimo, dei flash di tutte le volte che mi è capitato di vedere una situazione di difficoltà di qualcuno.
Quella volta che sono solo una ragazzina in bicicletta e una donna cade sul marciapiedi accanto a me. Mollo la bicicletta per terra, mi avvicino e lei mi dice che non è niente, si rialza e se ne va, lasciandomi perplessa e un po’ spaventata.
Quella volta che sono di corsa, in auto, in ritardo per un corso di aggiornamento, ad un incrocio assisto in diretta alla caduta di un anziano che mette male il piede sul bordo del marciapiede e finisce in avanti senza riuscire a parare il colpo. Sono a uno stop con altre auto dietro, mannaggia, brutto posto, che faccio? Vedo delle persone che soccorrono il signore, lo mettono seduto, ha del sangue che scorre sul viso, qualcuno afferra il telefono… Tutto sommato mi riassicuro, è in buone mani, posso andare per la mia strada, ma mi resta un vago rimorso per non essermi fermata anche io.
Quella volta che tornando a casa dal lavoro trovo un albero caduto in mezzo alla strada e un’auto incidentata oltre il ciglio della carreggiata. Macchine ferme, scendo e vado a vedere. Un uomo dentro l’auto, vivo, stralunato, gli chiedo come sta e non mi risponde. Altri due vagano come fantasmi, gli occhi sbarrati, incolumi, ma pure loro non rispondono. Penso sia lo shock, avviso il 118, ma è già stato allertato, sta arrivando. Bene, sono sicura, c’è altra gente, me ne vado a dormire, ma tanto non dormirò per tutta la notte. I tre, per inciso, non erano tanto sotto shock, quanto stranieri e alticci… e gli è andata bene.
Perché avere bisogno di aiuto è nell’ordine delle cose, tanto quanto offrirlo.
E quell’altra volta che invece, purtroppo, le manovre salva vita su un’altra persona ospite in casa, non sono servite a restituirlo ai suoi affetti.
Istantanee velocissime di tante situazioni in cui qualcuno ha avuto bisogno di aiuto in un contesto non protetto. Credo che capiti a tutti, prima o poi, di imbattersi in situazioni simili. Perché avere bisogno di aiuto è nell’ordine delle cose, tanto quanto offrirlo. L’importante è, appunto, trovare qualche anima buona che ti sia vicina. Io non sono stata sempre utile penso, avvertendo nuovamente un piccolo rimorso.
Ed eccomi qui ora accanto alla nonna dal largo cappotto e dalle borse più grandi di lei. Per fortuna si muove. Si lamenta, alza una mano, non riesce ad alzarsi. La caviglia è sotto di lei, probabilmente ha riportato lesioni importanti. Mentre la rassicuro chiamo i soccorsi con il telefono che ho avuto la prontezza di portare con me. La sistemo un po’ meglio, lei mi afferra un braccio e si accorge del mio brivido di freddo. Ho portato il telefono, ma non ho pensato a indossare un giubbotto e qui fuori si gela. L’anziana smette di lamentarsi, mi chiede se ho freddo. Cerco di fare finta di niente, ma è difficile non battere i denti. Allora lei si tira su alla meglio e mi dice, sbottonando il cappottone: “Senti, mentre aspettiamo, qui c’è posto per due, vieni!”E io mi avvicino ancora di più, l’abbraccio, lei mi ricopre con le falde del suo paltò di altri tempi e ci mette pure lo scialle a rinsaldare il legame. Ridacchiamo tutte e due, un po’ imbarazzate, ma tutto sommato al caldo, e incominciamo a raccontarcela, mentre da lontano arriva il suono di una sirena.