Il testamento del Principe
La cappella è maestosa nella sua bellezza, roba da restare senza fiato. Tutto intorno, statue pregevolissime di marmo lucente, dal bianco cangiante. Sopra di noi un soffitto a volta con un affresco immenso, ricco di simboli arcani. Una colomba stringe nel becco un triangolo, simbolo insieme della massoneria e della Trinità. Il sacro e il profano si fondono in questo luogo nel cuore di Napoli, che pare sottrarsi alla dimensione terrena.
È con aria fiera e signorile, pregna della grazia dei principi, che dall’alto della balconata centrale Raimondo di Sangro ci saluta.
Sono Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero. Sono lieto di avervi come ospiti.
Sarà di lì in poi un susseguirsi di storie, aneddoti, curiosità sulla sua vita di letterato e accademico; sui misteri che la sua complessa personalità ha alimentato, insieme alle tante maldicenze dovute in parte alle sue frequentazioni massoniche e per altra ai prodigi che si compivano a palazzo, frutto delle tante invenzioni alle quali il Principe diede la paternità.
Dall’archibugio al cannone leggero, dai tessuti impermeabili ai vetri colorati, dal palco pieghevole al lume perpetuo, passando per la stampa a più colori e la carrozza marittima, e solo per citare non altro che alcune delle sue invenzioni, il Principe di Sansevero contribuì egli stesso a costruirsi la fama di uomo dotto e illuminato, spinto da spirito di vera conoscenza e da insaziabile curiosità e, presso il popolino, di mago e perfido stregone, capace di uccidere i propri servi per poi scarnificarli e compiere i propri infernali studi anatomici.
Per dirla con Salvatore Di Giacomo:
« Fiamme vaganti, luci infernali – diceva il popolo – passavano dietro gli enormi finestroni che danno, dal pianterreno, nel Vico Sansevero […] Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco, romori sordi e prolungati suonavano là dentro: di volta in volta, nel silenzio della notte, s’udiva come il tintinnio d’un’incudine percossa da un martello pesante, o si scoteva e tremava il selciato del vicoletto come pel prossimo passaggio d’enormi carri invisibili »
Sullo sfondo di questa sua multiforme personalità, che ne fece l’incarnazione napoletana del dottor Faust, c’è la Cappella Sansevero, suo capolavoro personale e luogo della più alta ispirazione del Principe, che custodisce nel Cristo velato di Giuseppe Sammartino uno dei capolavori assoluti dell’arte mondiale.
A condurci è l’Associazione NarteA, in un percorso teatralizzato colto, suggestivo e interessante, ricco di spunti di approfondimento, eccellente dal punto di vista divulgativo e insieme più che valido sotto l’aspetto artistico.
Vale la pena di andarci, alla ricerca dei segreti del Principe custoditi nella pietra della Cappella Sansevero, suo vero testamento spirituale.