Linea 1
Questa notte è tutta mia. Io sono Giovanni detto Giovà, gli amici del campetto mi passavano il pallone per tirare a porta perché Giovà era un bomber, passa sta palla che c’ha sfonno ‘o portiere chella port e mmerd’. Le scarpette strette, di mio fratello, le dita dei piedi che pulsavano dentro, s’alzava sempre un quintale di polvere e mi entrava negli occhi e mammà diceva a casa che hai fatto? Giovà? Stai pieno di lacrime… Come stanotte, Giovà che hai fatto Giovà?
Il treno della linea 1 sfreccia e sbanda un poco, sembra pieno di vino come una botte lasciata a dondolare in cantina, se la sono scordata lì. E Giovà sta lì dentro, affoga e guarda i palazzi scorrere di fianco. Ma sta anche un poco fuori come se fosse spezzato in due, lo fa ogni notte questo viaggio doppio. Si acquatta in un angolo del treno e da Garibaldi a Piscinola va e viene. Ha scovato una mezza bottiglia di birra in un cestino all’ingresso, un ritaglio di giornale, un fazzolettino profumato di quelli di Trenitalia ancora da aprire ma non lo apre, quello è prezioso lo userà domattina.
Da molto tempo Giovà non sogna più la notte, il suo sogno è entrare e uscire dai tunnel della metropolitana, uno dei due sta seduto nell’ultimo vagone, l’altro Giovà esce dalla botte e salta sui treni in corsa, passa attraverso i vetri e le porte chiuse, è leggero, sollevato da terra, gli abiti sono veli che svolazzano nel chiuso delle gallerie, è il Re del treno.
è leggero, sollevato da terra, gli abiti sono veli che svolazzano nel chiuso delle gallerie, è il Re del treno.
Una volta lì una signora si gettò davanti a un treno, ne parlarono tutti. Aveva la borsa di plastica rosa del supermercato ma dentro nessuna spesa, solo due stracci e un biglietto vecchio del treno per Milano. Se ne voleva andare Maria, a casa impazziva e il mestiere non ce la faceva più a sopportarlo.
Lui glielo aveva promesso ma poi niente, si metteva paura di lasciare Napoli, e gli piaceva lavorare sui treni. Giovà è un bomber non ne sbaglia uno di tiro in porta, vede il treno di fronte che arriva e lui sa che nel silenzio può volare leggero, così ci prova, il vetro non lo sente proprio, lui passa attraverso.
Giovà che hai fatto? Giovà? Stai pieno di lacrime? A terra la mattina dopo fra la polvere solo un fazzoletto profumato, intatto, mai aperto.
fm
Il giornale non lo compro, lo snobbo pure un po’ quando passo dall’edicola, un po’ per la fretta, un po’ per il prezzo – un euro al giorno ne fanno trenta al mese – un po’ perché oggi parla di ieri e ieri è già vecchio, ho lo smartphone, ultim’ora ultime notizie, chi lo legge più il giornale. Poi però lo guardo in piedi sbirciando i titoli da quelli che lo leggono, allungo il collo tra le braccia tese e dritte appese alle maniglie come salami, Magico Napoli, tripletta di… poteva aspettare ‘sto stronzo due secondi ancora, prima di girare pagina.
Screeeeeeeeek. Ci cado addosso allo stronzo del giornale, in un decimo di secondo sono a terra sulla sua schiena, mi scusi dice mentre si rialza goffamente facendo leva sul ginocchio, ma che stronzo davvero: io lo spingo a momenti l’uccido e lui si scusa. Ha perso gli occhiali e si sono rotti. Siamo fermi. È buio, gente che si lamenta. Porco! Grida una. Il culo toccalo a tua sorella! Che è successo? C’è l’Isìs? Mammà i talebbani? Luci di torce di cellulari. Si accendono quelle d’emergenza. C’è sangue sui vetri.
Proprio sotto a noi si doveva buttare. Perderemo un sacco di tempo
Un’ora e tre quarti dentro al vagone. Bestemmie, improperi e urla. Il convoglio si muove lento; le porte fischiano liberando gas che sembrano peti e infine si aprono sbuffando. Lo stronzo del giornale esce per primo, incespica scendendo, e si scorda dentro il quotidiano. Sbatte tre volte la mano sul pantalone sporco d’acqua e fango, esce il cellulare di tasca e raccoglie da terra un fazzoletto profumato di quelli che danno sui treni. Se lo mette in tasca; è intatto, mai aperto. Hai visto mai che torna utile. Pronto sì scusa, risponde, sì arrivo che ci posso fare s’è ammazzato uno proprio sotto il treno mio.
mm