Le nove Muse e una
Se aprono uno spazio oltre la siepe all’infinito naufragare, i miei venti naviganti di rubrica approderanno su uno scoglio insolito. Qui una candela accesa in una stanza silenziosa ritaglia un cerchio luminoso a quelle tenebre. Qui due occhi adolescenti bruciano, fissi al centro della fiamma, vivendo dentro il sogno di Leopardi dieci, cento, mille volte l’infinito. Qui si consuma il primo gioco che rimanda a nove Muse e una.
Ho sempre avuto una passione intima per ciò che genera poesia, per ciò che partorisce canti all’universo, per la follia di un uomo innamorato della luna.
…e rimanere lì, aggrappati con i nostri occhi all’orizzonte.
Solo, però, che le cose accadono.
La gente vive e la gente muore. Bimbi nascono e altri stanno per venire al mondo.
Le campanelle suonano ad ogni ora e cambio classe e, ogni ora, si ricomincia tutto. Tutto daccapo. E tutto, tutto, è un ricostruire dalle fondamenta a colpi di fiducia e a tratti di poesia.
Perciò mi ostino a considerare i miei slanci come provenienti dalle Muse e non come generati da viscere profonde di cui ignoro consistenza, limiti e difetti.
Poi mi rendo conto che si tratta solo di aggiungere alla lista un nuovo nome.
Clio, Euterpe, Talia, Melpomene, Tersicore, Erato, Polimnia, Urania, Calliope avranno da oggi una compagna in più ed il suo nome è Viscere.
Le Muse, certo, hanno bei nomi.
Viscere, no.
Ma è solo un altro nome che dice anima.
Io sento l’anima fluire, arrimpicare, scalare, precipitarsi, rincorrere, aggrapparsi, scolpire, urlare, danzare, ricordare, ridere a crepapelle, strappare, cantare e disperarsi con coraggio, nella profondità delle mie viscere.
Dovrei saperla modellare questa parola e renderle l’onore che si merita a prescindere.
Tutti poeti siamo, nelle nostre viscere. Tutti parole da dire abbiamo, che vengono da lì. Tutti abbiamo nodi in gola, forti, da sciogliere per bene. Tutti ansia da vendere, spiccioli di vita da barattare.
Abbiamo tutti un asfalto da percorrere a marcia bassa, sulla neve che si scioglie e il ghiaccio infido che sbanda il retrotreno.
Abbiamo tutti un divano su cui poggiare l’anatomia del nostro spirito quando fatichiamo.
Mi sembra che sia chiaro che le nostre anime sono innaffiate dallo stesso sangue. Che il vortice confuso che ci travolge tutti è messo in ordine dallo stesso colorato papillon al collo su camicia bianca e bretelle blu o rosse o gialle, a seconda dell’umore.
Tutti, mi pare, vogliamo essere scolpiti su solide fiancate di montagna e rimanere lì, aggrappati con i nostri occhi all’orizzonte.
Abbiamo tutti i nostri caos cosmici da rivedere e riplasmare ancora, fino alla consegna d’opera che rimarrà incompiuta; per quanto mi riguarda lo so già.
Ma non importa questo. Compiere cosa significa? Quando consegno è segno che ho finito e se le Muse mi accompagnano forse sarà il principio di un capolavoro.