Viaggiare in treno in India
Viaggiare in treno mi piace. Come concetto, intendo.
Mi piace l’idea di spostarmi con il sedere ben ancorato alla terra mentre mi piace un po’ meno l’idea che non solo il sedere, ma anche tutto quello che vi è attaccato, debba sollevarsi da terra e finire in mezzo alle nuvole. Con tutto il rispetto per l’aereo. Poi non so, c’è questa aura ottocentesca che ammanta i viaggi in treno. Una roba un po’ retrò che mi consente di essere a volte Anna Karenina a volte la Blixen pur vivendo nel ventunesimo secolo.
Quando abitavo a Roma, i viaggi in treno erano una costante. Roma – Milano per lavoro; Roma – Latina con il treno della speranza carico di pendolari incazzati come me sempre per lavoro. Roma – resto d’Italia per diletto.
Si pensa tantissimo in treno. Si pensa, si scrive, si disegna. Si fanno cose creative complice forse il rumore rassicurante delle rotaie, complice forse un paesaggio sempre uguale ma in fondo sempre diverso. Si dorme pure, in treno, possibilmente con la bocca aperta e col filo di bava che cola impietoso di lato.
E allora perché non prendere un treno pure qui, in India, per andare da qualche parte? Un viaggetto breve, un paio d’ore soltanto, per vedere un posticino nuovo. Gliela butto così, con nonchalance, al capostazione della mia vita.
Ma sì, perché no.
C’è fango, ci sono cani randagi mollemente adagiati su sacchi di iuta contenenti sementi.
Presi dall’entusiasmo, ci dimentichiamo di una cosa fondamentale. Che siamo in India, la patria dell’imprevisto.
Scopriamo quindi, proprio a poche ore dalla partenza, che il biglietto non si riesce a prenotare online ma che bisogna andare in stazione la mattina stessa.
“A che ora è il treno?”
“Alle cinque del mattino…”
“Eh?!”
“Eh.”
Ci facciamo due conti. La stazione è a venti minuti da casa, dobbiamo fare il biglietto e non sappiamo esattamente cosa succederà nel mezzo. Dobbiamo uscire alle quattro. Si dice quattro del mattino o quattro di notte? Non so. Ha un brutto aspetto da qualunque angolazione lo guardi.
Comunque, con gli occhi collosi, la faccia ancora segnata dal cuscino e armati di zainetto, andiamo. Andiamo alla stazione dei treni di Old Delhi.
Ed è subito inferno.
La stazione dei treni di Old Delhi, alle quattro del mattino (o di notte) è attiva come la stazione Termini all’ora di punta. Gente che corre, gente che cammina, gente che dorme sui gradoni, gente che trasporta pacchi pesantissimi e omini in ogni angolo che tentano di rifilarti tazze bollenti di chai speziato. In più, ogni tanto, c’è qualche mucca che si fa largo prepotente fra la folla, ben conscia della sacralità della sua figura.
Dobbiamo trovare la biglietteria. A quell’ora io a malapena riuscirei a trovare la punta del mio naso ma non c’è modo di compiangersi perché una signora grassissima, tutta drappeggiata in un saree color crema che la fa assomigliare a un maritozzo (ve l’ho detto che non avevamo fatto colazione?), mi spinge con forza in avanti. Vorrei darle un calcetto, così per farle presente che non sono un sacco di lenticchie, ma vengo afferrata dalla mia metà migliore che nel frattempo, non si sa come, era entrato in possesso di due biglietti.
“Li ha pagati?”
“Non lo so”
Lui sì che sa stare al mondo.
“Cerchiamo il binario”
Ci dobbiamo muovere perché si sta facendo tardi e rischiamo di perdere il treno.
Siamo un po’ entrati nelle dinamiche della stazione quindi, imitando le persone, iniziamo a correre. Su e giù. Senza avere la più pallida idea di cosa stessimo facendo. In pratica due criceti sulla ruota.
Nel frattempo, ci scorrono davanti fiumi di vita.
C’è il santone che fa uno strano rito davanti a un banano, la vecchia rajasthana che vende marionette di carta pesta, il bambino mendicante che chiede dieci rupie per comprare un chapati. Ci sono tutti gli odori del mondo concentrati in uno spazio minuscolo. C’è fango, ci sono cani randagi mollemente adagiati su sacchi di iuta contenenti sementi. C’è l’uomo d’affari che si rimira la punta delle sue scarpe di vernice lucida macchiate ormai dalla poltiglia fangosa e, immancabilmente, arriva il lustrascarpe che per poche rupie la pulisce e dà una sistemata anche alla fibbia dorata.
C’è quasi tutta l’India nella stazione dei treni di Old Delhi.
Ci siamo anche noi che, ormai disperati e sempre più sudati, continuiamo a non trovare il binario.
“Chiediamo a qualcuno… così diventiamo solo matti.”
“Matta sarai tu che vuoi prendere un treno alle cinque del mattino.”
Non ha tutti i torti ma ormai ci siamo.
“Sorry Sir” dico a uno che mi pare un controllore “Mi sa dire qual è il binario per Gwalior? Qui c’è scritto 4A ma non lo troviamo…”
“Oh Madame. Certo che non lo trovi. Il binario 4A non esiste più da un pezzo. Si sono sbagliati a stampare il biglietto. Il vostro binario è questo qui davanti.”
Il binario davanti al quale non abbiamo fatto altro che correre per mezz’ora come due forsennati.
Si affaccia il capotreno col fischietto in bocca.
“In carrozza!”
Saliamo e ci sediamo ai nostri posti.
Viaggiare in treno mi piace. Mi sistemo accanto al finestrino, voglio vedere ancora quei paesaggi sempre uguali eppure sempre diversi.