Le feste imperfette
Oggi il nostro appuntamento quotidiano è con le feste, su ciò che esse possono rappresentare in noi e per noi.
Può suonare strano, visto che ormai si smontano gli alberi e si riempiono scatoloni con dentro le decorazioni da aprire l’anno prossimo, ma è proprio dentro queste azioni di disfacimento che io percepisco più congiuntamente il valore delle festività appena passate e la valenza dell’anno nuovo, che getta addosso ombre di sogni e percezioni di desideri, si spengono le luci per accendere speranze.
E proprio dalle luci spente sul pontile del mare di casa io ho capito che le feste sono realmente finite, che una vecchia befana ha spazzato via briciole di panettone, il calendario dell’avvento e fondi di bicchieri sporchi di bollicine.
una vecchia befana ha spazzato via briciole di panettone, il calendario dell’avvento e fondi di bicchieri sporchi di bollicine
Qualche mio amico ha tirato un sospiro di sollievo e altri non hanno ancora voglia di tornare a lavorare, qualcuno è partito, qualcuno è restato, qualcuno si è trattenuto in famiglia e qualcuno ha vissuto l’assenza di un proprio caro, perché quando ci si promette di riunirsi, si caricano di aspettative i momenti in cui stare insieme.
Passeggiavo sul pontile ieri sera, le palme erano spente e l’albero all’inizio dell’ingresso aveva perso aghi di pino e qualche ramo, le due fontane laterali erano chiuse e senza getto, in una delle due, verso il fondo, intravedo un poco di ghiaccio, non mi era mai successo di vedere del ghiaccio lì dove abito io, doveva fare freddo davvero, in questi giorni lo dicono tutti, ma ieri sera io non sentivo sulla pelle e nelle ossa quel freddo così forte da sconvolgermi, ero solo rapita da quegli ornamenti rimasti appesi ma non accesi e l’incombenza di gennaio che pesa addosso al cuore nel riporre progetti verso questo nuovo anno appena iniziato, già così sperato e non voler vederlo sprecato, non ancora.
Stringevo nella tasca la mia mano sinistra, pensavo a tutti quei domani che ci aspettano quando il calendario segna il giorno di un nuovo anno, che volendo o meno, è tempo di ricominciare.
Con queste riflessioni addosso, sono rientrata a casa e l’albero di Natale mi fissava ancora pieno e luccicante di se stesso.
Dovevo disfarlo, era giunto il momento, lo percepivo dentro di me.
Così ho preso il telefono e ho scritto un post su Facebook dicendo che se la colonna sonora per fare l’albero di Natale mi era più che ovvia, ignoravo totalmente quale potesse essere quella per disfarlo.
Una mia amica mi ha risposto che lei aveva puntato tutto sul rock, così le ho chiesto qualche titolo e lei mi hai detto di mettere tutto quello che mi piace… come se fosse facile, penso di corrispondere il pensiero un po’ di tutti quanti quando dico che tra le scelte impossibili della vita, la musica è una di queste.
Come si può elencare con esattezza tutta la musica che ci piace?
Allora ho pensato ai sentimenti che più volevo tenere lontani da me, tipo la malinconia, e ho cominciato con una scelta stilisticamente lontana dal mio solito genere musicale ma che mi avrebbe dato ritmo.
Ho iniziato a far partire “Can’t Stop The Feeling” di Justin Timberlake e su quel “dance dance dance” ripetuto goliardicamente io sì, mi sono proprio messa a ballare!
Sulla sedia di legno ad agitare i miei capelli biondi, a riempirmi frenetica di aghi di pino e la gonna rossa spudorata a svolazzare nell’aria, la canotta tutta scomposta a furia di saltare mi lasciava scoperta di pelle quando le lucine che stavo togliendo dai rami mi abbellivano come fossero dei diamanti, ed io ballavo persa nella musica, completamente imperfetta e naturalmente me stessa.
Mio padre in quel momento era come le risate sonore in sottofondo delle sitcom, i miei due cani il coro aggiuntivo e mia madre la seconda ballerina, la prima, manco a dirlo, ero io.
L’albero a questo punto aveva solo la parte centrale spoglia, per cui ho proseguito con Gloria Gaynor al suono di “Can’t Take My Eyes Off You” dove magicamente una pigna è diventata un microfono e il divano un palcoscenico, da sottolineare i baby che non finivano più e le calze di Natale usate come vecchi boa di scena intorno al collo.
Scivolando sempre più verso un circo di follia, la canzone seguente è stata “Cacao meravigliao” mitica colonna sonora di “Indietro tutta” cantata da un’allora giovanissima Paola Cortellesi.
Mani in aria, trenino traballante di bacino e come orecchini le palline colorate e lucide di Natale ed è stato subito Carnevale, giusto per ricordarmi che ormai si vola verso altre ricorrenze.
Sul concludere di questa canzone l’albero era quasi spoglio ma per fermare ancora di più il momento carnevalesco, il gran finale è stato con la leggendaria Ornella Vanoni e la sua “Tristezza (per favore vai via)”.
Qui, a questo punto, nel mezzo di questa canzone ho preso in mano il calice con il vino bianco, l’ho alzato al soffitto e ho detto realmente alla tristezza di andarsene via, quella stessa tristezza che prende un po’ a tutti, indistintamente, durante il periodo natalizio in quanto le feste perfette non esisteranno mai,
le feste perfette non esisteranno mai
La frenesia di cucinare per forza tanto e bene oppure di uscire fuori in un locale ultra chic, lo studio nei minimi dettagli di vestiti luccicanti, regali sognati, corsi e rincorsi, quelli mai arrivati e quelli che se non arrivavano era meglio, l’indecisione su con chi passare le feste e quando, dove, casa mia, casa tua, genitori o suoceri, si parte o si resta, città vuote e altre piene di traffico, musica sempre accesa e risate che non possono spegnersi, botti di spumanti triplicati in botti esagerati per le strade, dover urlare e gridare che noi felici lo siamo, durante le feste, per forza. Sennò sai che sfortuna non esserlo proprio quando è Natale.
Come già accennato io ho vissuto un anno alquanto sventurato, ne sono conseguite delle feste non molto brillanti e pur amando tacchi, vestiti luccicanti, tradizioni da far vivere e cucinare, regali inattesi e allegria sui volti, quest’anno ho vissuto per la prima volta la libertà di bellezza delle feste imperfette.
Ho tolto la frenesia di apparire ad ogni costo, cercando di esserci con quel che avevo.
Ho tolto la frenesia di apparire ad ogni costo, cercando di esserci con quel che avevo.
Penso che le feste dovrebbero essere il momento più ampio in cui essere imperfetti, quel periodo in cui il nostro volto sociale, sempre fin troppo acceso, si spegne per dare spazio alle nostra fragilità, alla nostra stanchezza, al nostro essere vulnerabili davanti alla vita, che non vuole dire essere tristi o non festeggiare, ma vuol dire capirsi, stringersi, accettarsi intorno al calore e la protezione che casa nostra, i nostri valori e le persone che amiamo dovrebbero alimentare nella parte interna di quei giorni di festa.
Invece vedo che si vogliono sempre più le feste senza conoscere i motivi per cui esse si festeggiano.
E festeggiare anche il solo fatto di essere vivi, seppur magari tristi o stanchi o complicati, sarebbe un modo per rendere omaggio agli anni che noi cerchiamo di riempire con le nostre azioni, quelli stessi anni che di calendario in calendario ci passano accanto per ricordarci che noi esistiamo, così imperfetti come siamo.
E altrettanto imperfettamente con un altro calice di vino nella mano, vi do appuntamento alla prossima settimana con i nostri appuntamenti quotidiani.
Preparatevi, si parlerà di racconti.
Vostra,
Marta