La sedia
La mia sedia è quadrata, snella e comoda. un destino il suo che non deve essere messo in discussione.
Una sedia di legno, noce chiaro color sabbia, striata da sottili venature rosse che appaiono e scompaiono verso il basso lungo curve gambe di sostenimento, capaci di reggere qualsiasi peso.
La mia sedia sta nell’angolo destro della stanza.
Trascorro molto tempo dentro casa. Lo trascorro ascoltando romanze di opera, melodramma italiano, mentre correggo bozze di probabili romanzi, è il mio lavoro: correttore di bozze per un importante editore, ma non per questi fatti posso pensare di essere una persona stravagante, mi piace fare il mio lavoro come ascoltare musica lirica.
La mia sedia è quadrata, snella e comoda, non la uso tanto spesso. Invero, ho paura di toccarla, spostarla, sono sicuro che se la cambiassi di stanza perderebbe parte della sua avvenenza. Così la guardo con irragionevole ma amorevole soddisfazione, penso che lei stia a suo agio lì, il suo posto è quello, un destino il suo che non deve essere messo in discussione.
La mia sedia è quadrata, snella e comoda. Gambe asciutte slanciate verso il parquet, legno sopra legno.
Sorseggio la mia bevanda depurativa pomeridiana e sono contento. Non è lucida ma il legno riflette comunque ogni bagliore che riesce a oltrepassare i vetri della finestra alle mie spalle.
Ha un piano quadrato massiccio, spesso, robusto e scivoloso che si stacca dal pavimento per quaranta centimetri… poi sedersi o no dipende dall’umore del giorno.
La sottile spalliera è una fascia quasi ricurva, trattiene cinque sottili stecche di noce interrotte da dodici nodi di radica chiara.
il suo da sempre è: la mia sedia.
La mia sedia è quadrata, snella e comoda. Non ricordo la provenienza sono certo però che sia stata sempre lì al suo posto fin da quando ho imparato ad associare per ogni oggetto un nome, il suo da sempre è: la mia sedia.
Cianfrusaglie quotidiane ingombrano la stanza mischiate a incomprensibili fastidi di tempi difficili, tanto incalzanti quanto è rabbiosa la consapevolezza di essere inadeguato alla comprensione del presente. Giornate come tante, raccolte una dopo l’altra distrattamente come i fogli di carta che per lavoro ingombrano la mia scrivania.
Saranno trascorse due settimane dall’ultima volta che l’ho usata. Una sera stanco di lavorare e correggere schifezze impastate di buonismo, poggiando la schiena e accavallando le gambe. Seduto ho ripreso a respirare rallentando il fiato fino a ritrovare il giusto equilibrio. Turbamenti e imbarazzi scivolavano fuori lungo le scale per evaporare nell’aria appena giunti per la via come odore di polvere bruciata.
La sedia trasportava energia e benessere il reale scioglieva ogni resistenza. Legno caldo sotto le cosce e nervi distesi lungo il parquet a raccogliere briciole di profezie. Schiena dritta e su la testa.
Un CRACK arrivò senza avvertire.