La canzone della bambina fantasma
Il motivo per cui la bambina fosse seduta resta un enigma. Mi accorsi che i suoi occhi erano pigramente socchiusi. Nella stanza serpeggiava un silenzio innaturale, che la fuliggine aveva annerito. La madre doveva essersi svegliata per pochi minuti, giusto il tempo per passare alla bambina una veste di colore azzurro con la quale coprirsi il viso. Le scarpe della bambina erano sparpagliate su un divanetto di legno chiaro, testimone inerme dell’orrore.
L’incendio aveva reso ancora più allucinata la stanza, dal cui soffitto, pendeva un lampadario in ceramica a forma di rondine. Era un animale privo di grazia, rimasto intrappolato come i miei passi in una posa incerta. Neppure la finestra riscattava la stanza da una profonda assenza di eleganza, e rispondeva a una mera esigenza architettonica.
La bambina rimase immobile, la presi in braccio per affidarla alle mani esperte di un collega. Con identica cautela, misi in salvo la madre.
Avrei voluto nulla più di uno sbuffo, un movimento inavvertito, invece entrambe erano avvolte in un sonno atavico.
Era un animale privo di grazia, rimasto intrappolato come i miei passi in una posa incerta.
Quello che il medico accertò, poco dopo, non mutò la mia opinione. La madre respirava ancora durante i soccorsi, ne ero certo; tuttavia, risultò già deceduta, probabilmente nel silenzio inumano delle coperte.
La figlia? Benché questa ipotesi mi convinca ancora poco, avrebbe oscillato fra due poli opposti, rimanendo immobile come una statua. Pensai alla pena che la rondine trasportava su ali esili e insicure, al disordine barbarico e alle scosse di silenzio che avevano attraversato la stanza.
Non ho ancora elaborato una spiegazione che mi convinca appieno. Rimasi con le orecchie tese per diverse notti per verificare se avessi assorbito, nel silenzio talmente saturo da risultare fastidioso, un indizio di voce umana, fosse anche l’imitazione di un rantolo.
Mi sentii come un bambino, rimasto deluso dalla perdita del proprio amico immaginario. Una notte in cui rimasi sveglio fino a tardi, fissai a lungo il riflesso della tenda nella finestra, con la sensazione di distinguere gli occhi della bambina, che peraltro non conoscevo.
Caddi in un sonno appiccicoso, e ricordo di aver camminato a lungo in una strada immersa nel candore della neve, con le orecchie straziate da una nenia angelica e tremenda. In lontananza, una fila di alberi da frutto imitava un girotondo che aveva la grazia inattesa di una catenella di omini realizzata da un bambino.
A un orario preciso, una parte del sentiero si sciolse. Al mattino, mi svegliai confuso e decisi di lasciare caramelle per la bambina, proprio vicino alla finestra. Volevo sentirla cantare ancora.