Volevo solo dormire ancora un po’
Credo che tutta la mia vita possa essere racchiusa in questo manifesto programmatico, mai attuato fino in fondo: volevo soltanto dormire ancora un po’.
Sapete, quando mia madre per richiamarmi da piccolo mi diceva “sveglia, ragazzo, sveglia” pensavo fosse un invito un po’ offensivo. Mi sentivo sveglio e, mediamente, in gamba. Non credevo di avere bisogno di una sveglia particolare.
Credevo che la mia tendenza a contemplare la realtà piuttosto che a prenderla di petto senza averla osservata, scrutata e penetrata fino in fondo, non fosse un difetto ma una virtù. Certo quella tendenza poteva incoraggiare in qualcuno l’idea che fossi un ragazzotto da mettere in guardia.
Ma io concordavo certamente sul fatto che essere svegli significasse saper fare le cose, solo che aggiungevo a questa considerazione una mia personale interpretazione e, cioè, che starsene intanto lì a guardare fosse il primo passo per compiere bene tutti gli altri passi in un futuro prossimo venturo.
Mia madre aveva certamente più ragione di quanta ne avessi io.
Ma sappiate infine che, mio malgrado, mi sono svegliato. E continuo a farlo a scadenze più o meno regolari, grazie al cielo.
Volete qualche esempio?
I primi che mi ricordo sono i seguenti, ma la lista potrebbe essere molto più lunga, ovviamente.
Mi sono svegliato quando mia moglie ha sentenziato (appena due secondi fa) che sarei diventato il prossimo insignito del premio Pulitzer, senza che io avessi mai scritto un vero e proprio articolo di giornale.
Sì, l’ironia di mia moglie contribuisce a queste sveglie diuturne (e la ringrazio spesso per questo, a mio modo cercando così di tacitare la sua geniale vena ironica).
Mi sono svegliato quando il mio primo giorno di lavoro a scuola è cominciato con una supplenza a venti deliziosi bambini: figli, nipoti o comunque parenti prossimi dei detenuti ospiti nel carcere che si vedeva dalle finestre dell’aula, situato dall’altra parte della via, a distanza di cordiale saluto.
Mi sono svegliato a Brancaccio quando ho cominciato a insegnare a preadolescenti che saltavano giù fuori dalle finestre dell’aula, per rincorrersi nel cortile della scuola, dopo essersi amabilmente apostrofati e accarezzati sul cranio e sulle tibie qualche secondo prima, stesi lunghi sul pavimento in una coreografia mobile e armoniosa di banchi e seggiole roboanti.
Mi sono svegliato quando tre energumeni dal simpatico accento draculesco mi hanno svaligiato sotto casa e sotto le feste natalizie. Di più mi sono svegliato quando il vice commissario di polizia da cui sono andato a sporgere denuncia, con il suo tenebroso accento pugliese, mi ha rimproverato di non aver scazzottato per mantenere salvo almeno l’onore patrio.
Credo di essermi svegliato, ma vi giuro che avrei volentieri continuato a dormire, anche quando pochi giorni fa ho perso l’aereo con famiglia e valigie al seguito.
Più seriamente mi sveglio ogni volta che, presso il liceo dove a tutt’oggi esercito l’ingrata professione di docente, un ragazzo durante una lezione particolarmente complicata, in cui sto dando l’anima per rendere trasparente un arduo concetto filosofico, alza la mano per chiedere il permesso per andare al cesso.
O anche quando mi rendo conto che la schiena comincia a scricchiolare e che ancora non ho nemmeno programmato il momento, in cui mi metterò a predisporre seriamente un promemoria, utile a ordinare le prime idee, per scegliere la data in cui decidere, di assegnare all’agenzia l’incarico, di organizzare quel viaggio, che da anni giudichiamo imprescindibile.
Credo che tutta la mia vita possa essere racchiusa in questo manifesto programmatico, mai attuato fino in fondo: volevo soltanto dormire ancora un po’.
E tu – vita benedetta – continui a ostinarti con l’imperativo programmatico esattamente opposto, in ottemperanza a un ordine che immagino tu abbia ricevuto da mia madre
Ma sappiate infine che, mio malgrado, mi sono svegliato
Svegliati, ragazzo, svegliati.
Ma poi qualcuno ha detto che la vita è sogno ed ho incominciato a sognare che tutta questa storia di essere sveglio, non sia nient’altro che una presa in giro.
Svegliarmi dalla vita è impossibile, difatti. Che io mi fermi a contemplarla o che la prenda per le corna, sarò sempre dentro il suo gioco e giocherò con le sue regole.
A conti fatti, comunque, posso riconoscere a mia madre di avere avuto certamente più ragione di quanta ne avessi avuta io, ma se vivere è sognare neanche io, forse, avevo proprio tutti i torti a voler dormire ancora un po’.