Intervista a Rosario La Tremendita
Ho intervistato Rosario a febbraio, in occasione della messa in scena di Afectos al Teatro Ariosto di Reggio Emilia. Nei camerini del teatro abbiamo parlato di payos e di gitanos, di strumenti e di Triana.
Mi ha sempre incuriosito la “disputa” tra gitanos e payos. C’è chi dice che i gitani siano i più autentici nel flamenco, c’è chi invece dice che non cambia nulla. Cosa ne pensi?
Io sono di Triana, sono nata lì, tutta la mia famiglia vive lì.
La mia trisavola ha avuto ventuno figli e tutti stanno a Triana. Quaranta o cinquanta anni fa avevano fame tutti allo stesso modo, i gitani e i non gitani. Erano tutti mischiati. Io sono cresciuta in mezzo ad entrambi. Una soleá de Triana la cantava bene sia un gitano che un payo. Certamente ognuno nella sua forma, con un suono diverso.
Ma veramente non saprei cosa scegliere fra il toque di Paco de Lucía o una bulería di Camarón. Nel flamenco si deve far vedere l’anima – questo è l’importante – e la verità di ognuno. Poi la gente può discutere su ciò che vuole, ma io questa differenza non l’ho mai vissuta, ho sempre vissuto “mischiata”.
Triana è considerata da molti come la culla del flamenco. Credi che al giorno d’oggi sia ancora così o esiste una nuova culla?
Triana, Siviglia, la parte dell’Alameda, erano punti d’ incontro molto importanti dove veniva gente da Jerez, da Cadice, da Granada, da Cordova, da tantissimi posti. Quindi tutti gli artisti si concentravano lì. Triana non era propriamente una culla, era più un punto di incontro. Il flamenco ha avuto vari punti di incontro tutti molto importanti come per esempio i porti di Cadice, Sacromonte a Granada… Oggi anche a Barcellona e a Madrid ci sono degli artisti bravissimi. Il bello del flamenco è proprio l’incontro fra cose diverse, la convivenza, è questo che lo rende così ricco e potente.
Oltre ad essere cantaora sei anche polistrumentista. C’è uno strumento in particolare che ti dà l’opportunità di esprimerti al meglio?
È vero che suono la chitarra, il basso, scrivo le canzoni, le canto. Ma in realtà non mi fermo a pensare se un pezzo deve andare con la chitarra o con il basso. Sorge un’idea, una necessità artistica, e quindi mi servo di tutti gli strumenti artistici che ho e che possono funzionare per quell’idea. È vero che cambiando lo strumento cambia la sonorità, cambia l’anima. Ma alla fine il concetto è sempre lo stesso, comunicare. Attraverso la chitarra, la poesia o il basso, è sempre la stessa forma di comunicare: la mia.
C’è un palo che ti rappresenta o uno che ti risulta estraneo?
Dipende dal momento e dal periodo che sto vivendo.
Ci sono momenti in cui adoro i cantes de fiesta come la bulería, altri momenti in cui adoro i cantes libres come la malagueña. È vero che a casa mia si è sempre cantato molto per il baile, quindi i cantes a compás, la bulería, li ascolto da quando ero piccola. Ma dipende da come mi sento.
Qual è il momento che ti ha emozionato di più nella tua carriera?
La candidatura al Grammy Award.
Quando incidi un disco e passi notti intere senza dormire, quattordici ore nello studio, tre anni in una stanza a creare, non esci, ci sono momenti emozionanti ma anche momenti molto duri. Poi arriva la candidatura, quindi il riconoscimento del tuo lavoro. È molto emozionante per me. Anche se in realtà per me è emozionante tanto la candidatura al Grammy quanto chiudermi in stanza e creare.
Anzi, penso che la cosa più emozionante sia quando stai nella tua stanza e nasce un’idea. Quando sorge un accordo, una canzone… In quei momenti ogni artista impazzisce.
Quali sono gli artisti che ti piacciono di più della scena attuale del flamenco?
Ce ne sono molti. Al cante El Pele, Duquende, Arcángel, Miguel, Estrella Morente.
Nel baile c’è Rocío, che ammiro, amo e rispetto, Israel Galván… Alla chitarra Dani de Morón, Tomate, Vicente…
Quali sono le emozioni che senti prima di salire sul palcoscenico e quelle che nascono durante e alla fine, quando tutto finisce?
Ogni volta è diverso, ma sempre, prima di iniziare, c’è un po’ di paura, di nervosismo, moltissima concentrazione. Poi, appena inizio, mi lascio trasportare dalle emozioni autentiche che sorgono in quel momento: a volte posso essere molto allegra, a volte più introversa.
Quando lo spettacolo finisce c’è tanta adrenalina… e anche molta stanchezza.
Qual è la difficoltà più grande che hai incontrato fino ad ora?
Artisticamente, affrontare me stessa. Per il lato burocratico, affrontare il sistema, a volte è complicato.
Ma in entrambi i casi sono difficoltà necessarie che ti rendono più forte.
Una persona non conosce nulla del flamenco. Quale disco, o quale canzone, gli consiglieresti per presentarglielo?
La Rondeña di Ramón Montoya.
Grazie a Rosario per questa interessantissima intervista. Cliccate sul video qui sotto per scoprire La Tremendita.