La mia Scala
L’altra sera, come milioni di spettatori, ho assistito alla leggendaria prima alla Scala.
Per chi ama il melodramma e Puccini, assistere alla messa in scena dell’opera in quello che i melomani snob chiamano ‘il tempio della lirica’ con quell’aria di sufficienza e protervia tipica dell’italiano.
Lo spettatore nei teatri italiani, e in special modo in quello milanese, crede ancora di essere il custode del melodramma e invece è soltanto a guardia di un contenitore svuotato dalla politica e dal disamore oltre che all’incompetenza dilagante.
Tant’è che nessuno può esimersi di guardare la TV e fare le personalissime considerazioni mondane e musicali.
Quando gioca la Nazionale di calcio tutti diventiamo Mister per lo stesso teorema che basta parlarne il 7 dicembre tutti diventiamo critici musicali. Anche i giornalisti accreditati che scambiano Cio cio San per Mimì.. ma tanto sempre Puccini è!
La mia Scala ha un altro sapore.
Sapore di musica ,sapore di arte, sapore di amore.
Tra le mille esperienze uniche che nella mia vita ho fatto, come quella volta che ho assistito al concerto di Capodanno a Vienna nella sala d’oro del Muskverein, sicuramente non posso dimenticare la mia prima alla Scala.
Torno indietro con la mente e con il cuore. Anno 1997.
I preparativi per la partenza: l’acquisto dell’abito da sera: un abito nero semplice e lungo adornato dalla mia collana di perle , mio marito prova a casa il suo smoking e decidiamo di mettere in valigia due papillon sarà solo in hotel che decideremo quale dei due indossare…metterà quello color rosso porpora!
Questa volta non pranziamo con Renato Bruson, il protagonista del Macbeth in scena perché la vigilia del debutto è troppo carica di adrenalina e preferisce restare in hotel.
È giunta l’ora .
Al botteghino troviamo i nostri biglietti, una signorina in divisa ci accompagna al palco.
Mi guardo intorno: volti celebri, donne eleganti, uomini ingessati nelle loro camicie candide.
Si spegne la luce ed entra Riccardo Muti: un applauso accoglie il direttore che in quegli anni è aduso a dirigere tutte le prémiere.
La scena è dominata da un cubo creato dal regista Graham Vick, una presenza incombente e claustrofobica che descrive il tormento del protagonista.
Adesso sorrido al ricordo, abituata negli anni a soluzioni registiche che hanno re- interpretato il libretto, ma allora tutto questo faceva parte di un rituale che accompagnava lo spettatore verso lo stupore di uno spettacolo “nuovo” a tutti i costi.
La direzione di Muti è come sempre attenta e l’orchestra ben preparata lo asseconda in queste sfumature di suono, spesso al limite del silenzio, con evidente partecipazione.
Maria Guleghina è stata una Lady di gran classe e in Renato Bruson c’era, come sempre, un’interiorizzazione perfetta del dramma del re con la sua gestualità sorvegliatissima e appropriata.
Lo spettacolo scorre anche nei momenti in cui la regia sembra ai nostri occhi più macchinosa fino ad arrivare al dramma finale e alla romanza “pietà ,rispetto e amore…”.
L’artista sulla scena canta, mentre nel palco mio marito sussurra l’aria ed io mi inebrio ad ascoltare in stereofonia i due baritoni.
Gli applausi scroscianti sottolineano l’emozione che io ho provato.
Sono trascorsi quasi vent’anni dalla mia prima volta alla Scala…
L’altra sera ero una telespettatrice ma con la mente ripercorrevo i corridoi che portano ai camerini e, rivedendo il foyer, sentivo ancora l’odore inebriante dei fiori e dei profumi delle signore.
Oggi sono in attesa di gustare a gennaio al Teatro Massimo di Palermo l’inaugurazione con l’opera lirica Macbeth.
Un’altra inaugurazione e un altro Macbeth ma, come dice il mio amico melomane, avviciniamoci all’opera senza ricordi e senza rimpianti per non rischiare di restare delusi.