Mal d’aria
Una sera in cui l’aria fredda gli raschiava le nocche, fra le 20.30 e le 20.40, rientrò a casa. Avvicinandosi alla casa, aveva immaginato Agnese intenta a cucinare o a preparare la tavola, chiusa nella sua tipica espressione dolce e l’aria di essere priva di preoccupazioni. Quando non la vide si convinse che fosse da un’amica e che avesse dimenticato di avvertirlo. Senza agitarsi la attese per due ore e nel frattempo si preparò una frittata.
Cominciò a credere che potesse essere rimasta coinvolta in un incidente solo dopo averla cercata al cellulare senza ricevere alcuna risposta. A lasciarlo ancora più perplesso fu un biglietto con la sua grafia infilato sotto il tappeto del portone d’entrata.
Mi è bastato scegliere una panchina al riparo da sguardi indiscreti e chiudere gli occhi. Nel giro di cinque minuti i rumori della piazza si sono attutiti fino a ricordare il battito di un’ala. Il silenzio è stato l’unica compagnia, l’unità di misura per i minuti, una coperta pulita e setosa. Dietro di me, i passanti parlavano e si muovevano rapidi, come spinti da una brezza. Poi non ho sentito più nulla né ho visto più il mio corpo. Forse mi ero già sottratta alla materia.
Guglielmo si rese conto in pochi minuti di conoscere poco la donna con la quale era sposato da quattro anni. Agnese non gli aveva confessato il desiderio che celava da qualche mese.
Perché vuoi dimenticare chi sei?, le aveva chiesto una cara amica.
Non voglio dimenticare, preferirei svaporare.
Seriamente?
Liberarmi della mia identità e diventare invisibile, come l’aria. A te non piacerebbe?
I desideri della sua amica erano più terrestri e l’amica provò a mettere in discussione la sua idea. Ciò non la scoraggiò. Agnese sosteneva di aver letto da qualche parte che molte donne fossero svaporate, volteggiando in cielo e andando a vivere fra le nuvole. Forse c’era un modulo, che Agnese avrebbe compilato con cura, a meno che il servizio non si basasse sulla lettura del pensiero. Per quanto riguardava Guglielmo, Agnese sperava che si sarebbe arreso e avrebbe presto deciso di non cercarla. Per svanire bastava sedersi su una panchina della propria città, in un luogo appartato, con un ventaglio in mano.
Così aveva fatto. Erano trascorsi cinque minuti quando sentì la mano destra iniziare a sollevarsi.
Finalmente, si disse. Ora dovrei iniziare a sentire una leggerezza intensa, spero solo che mio marito capisca la mia scelta. Lui è solo di impiccio, ma non è la causa primaria.
Il giorno precedente Agnese aveva trovato una busta con il regolamento della vita fluttuante infilato sotto la porta. Era consigliato di non lasciare intendere in nessun modo la propria partenza e comportarsi con naturalezza, inventando una scusa credibile. Era sconsigliato dire ai propri famigliari “vado a trovare un’amica” o “vado dal parrucchiere”, perché lo svaporamento doveva avvenire all’oscuro di tutti. Pertanto Agnese aveva scritto un sms al marito dicendogli che sarebbe andata al mercato, per convincerlo che fosse tutto a posto. Compiaciuta della sua bugia sperava che il misterioso congegno dello svaporamento sarebbe stato puntuale e veloce.
Così si sedette e iniziò a pensare; era bastato davvero poco sforzo. Sperava che in qualche modo il marito potesse conoscere i suoi ultimi pensieri. Ormai aveva l’impressione che i rumori della piazza si acquietassero e che una morbida bolla avvolgesse il suo corpo. E poi sentì un leggero vento che trasportava i passi delle persone e l’assenza repentina della piazza. Quando iniziò a levitare già non ricordava il suo nome. Una ragazza si sedette su una panchina vuota e si accorse di una corona di vapore che galleggiava sopra la sua testa.
Quasi si soffoca per l’inquinamento, pensò.
Non avrei immaginato che Agnese volesse questo, si giustificò Guglielmo. La lettera scritta da lei fu una sorpresa inquietante che seminò nella sua mente un grappolo di pensieri fitti e assillanti, i quali si alimentavano di un solo interrogativo: quando aveva scritto quelle poche righe? Si erano forse impresse da sole? I pensieri erano ombre che vagavano nel soggiorno e restituivano un sapore amaro alla notte tranquilla che l’uomo si era prospettato rincasando. Era certo che Agnese non avesse ragioni valide per fuggire, oltre alla piattezza del loro ménage. Ciò tuttavia non spiegava la scelta di Agnese. Si girò nel letto più volte, straziato all’idea che non avrebbe condiviso più le coperte con lei.
Al mattino faticò a credere che ci fosse del fumo in cucina. Poi si rispose. Era la bombola del gas.
Un po’ alla volta i ricordi di lei svaporarono dalla sua memoria e le immagini di Agnese nelle foto persero colori e bordi.
Un po’ alla volta i ricordi di lei svaporarono dalla sua memoria
Agnese era orfana, Agnese era disoccupata, Agnese aveva pochissime amiche. Nessuno si sarebbe accorto della sua scomparsa perché un meccanismo rapido e impercettibile rimosse i vestiti della donna e ingarbugliò la memoria delle sue poche amiche. Dapprima Guglielmo si domandò invano che fine avesse fatto un foglietto che aveva lasciato sul tavolo. Non c’era scritto nulla di importante, ma per principio guardò sotto i mobili senza trovarlo, fino al momento in cui sfilando un cuscino dal divano non si chiese che cosa stesse facendo. Non aveva perso nulla e nella casa trionfava un ordine composto. Certo era un po’ costosa per un single, ma solida e non aveva neanche uno spiffero. E c’era un continuo ricambio d’aria, non l’aveva scelta per questo?