C’è un soldato
C’è un soldato in un portafoto inclinato, indossa una divisa color seppia, la foto è scolorita, imbraccia un fucile, non spara.
C’è una donna vestita di buio nel portafoto a lato, siede, sulle ginocchia il peso dei ricordi. Non sanno di essere vicini.
Luigi è partito presto al mattino. Il giorno precedente il fotografo ha usato uno sfondo di cartone foderato di fiori rubati ad una campagna rorida di rugiada dove le donne si chinano ancora per baciare le corolle.
È un inganno, qui ci sono soltanto stoppie che vorticano quando lo scirocco si diverte.
Gli ha aggiustato la mantellina, e lo ha fatto spostare, ecco un po’a destra, no appena un po’ a sinistra, lo spadino si intravede, è una foto che non dovrà incutere timore, nostalgia, (sì quella sì), ma neanche troppa che le madri che restano sono impegnate a reggere fondamenta e non si possono incrinare troppo.
Il fondale è sciupato trasmette il senso dell’inganno, quante coppie hanno posato mute e stupite con un mazzo di fiori e nelle orecchie l’eco di parole incomprensibili in latino. Luigi non si sposerà, non ha nemmeno una fidanzata.
È timido, riservato, vestito da soldato ma la guerra è una notizia alla radio, è una lettera al prete che qui in pochi sanno leggere.
Sua madre lo ha baciato, è il terzo che va via, due figli sono in America già da qualche anno, non scrivono, mandano soldi, rinuncerà anche a lui. Le madri rinunciano.
Nessuno si ricorda più il nome della madre di Luigi, il marito è morto troppo presto. Sulle ginocchia il peso aumenta giorno dopo giorno.
Vai, gli dice, è il figlio che ama di più, un ragazzo gentile spesso chiuso nei suoi pensieri che gli rigano il volto da adolescente.
In America non è voluto andare, ma alla Patria non si può rifiutare nulla.
Luigi va alla guerra, le sorelle lo guardano e fingono di ciarlare tra loro, una leggerezza che nessuna delle tre prova davvero. Una delle tre è mia nonna. La più grande è una maestra, la seconda perderà la ragione per amore, l’ultima mi amerà senza condizioni.
Mia nonna lo guarda da un altro portafoto più in basso, anche lei veste di scuro e il fondale è un cavallo finto di cui lei regge una cavezza di stoffa. Che fantasia questi fotografi all’ammonio!
Ha ripetuto, per anni, il nome del fratello, lui aveva fatto la grande guerra.
Luigi scrive dal fronte, manda cartoline, sono rigide di cartoncino doppio, aggiunge ogni volta una dedica, la grafia fitta e fuori moda le riempie. È stata la sorella maestra a insegnargli la bella calligrafia ed è lei che legge e rilegge alla madre le parole di Luigi, gliele ripete ogni sera fino alla lettera successiva, e quel momento a sera è la preghiera.
Quando la guerra arriva in Sicilia la famiglia è costretta a “sfollare” nelle campagne, si abbandona la grande città e la fame aumenta. Dopo la pioggia si raccolgono le lumache, e qui piove di rado. Si muore di fame. Si muore di guerra.
Nel quarto portafoto ci sono due ragazzi che ridono, hanno bretelle e cappelli, uno è seduto su una sedia davanti alla porta di uno store, così dice l’insegna, l’altro ride in piedi, non ci sono sfondi inventati, non ho certezza dei loro nomi, il posto invece è l’America.
Luigi non torna dalla guerra, e non è certo che sia morto da eroe, ma questa è un’altra storia.
Stanno i ricordi appesi ad una parete più vicini di quanto non siano stati in vita, la notte parlano tra loro, ma forse è solo un sogno, non devo addormentarmi più sul divano, ma è l’unico modo per sentire ancora le loro voci, le loro storie.