Steve Austin non crede nella poesia
Steve Austin entra come ogni sera al bar.
Sono le sei e si siede al bancone.
Saluta Molly e ordina la sua solita birra.
Sembra più seccato e brusco del solito. Afferra la ciotola di noccioline. Molly gli porge la birra e gli chiede che cosa ha oggi. Steve Austin sbuffa.
Ci sono questi vicini di casa, spiega, e non ne può più.
Molly gli chiede cosa fanno di tanto seccante. Gli chiede se mettono la musica ad alto volume, ma lui dice di no. Gli chiede se non buttano correttamente la spazzatura, se lo minacciano, se sono aggressivi, ma Steve fa sempre di no con la testa.
Questi scrivono poesie, le dice.
Gli chiede se hanno dei bambini rumorosi o un cane che abbaia tutto il tempo. Si sa che i cani possono essere dei gran rompipalle. Steve Austin rimane a guardare la sua birra in silenzio e dopo un po’ di no, no, non è questo, rivela a Molly qual è il problema con questi vicini.
Questi scrivono le poesie, le dice.
Molly sbotta in una risata rumorosa. Non ci crede che il problema sia che questi scrivono poesie. Che razza di cose scrivono questi per infastidirlo tanto, gli chiede.
Non è solo il fatto che scrivono poesie. Fanno anche delle riunioni dove dei pazzi come loro, che scrivono poesie, si incontrano ogni settimana per leggerle. Ma dice che il problema riguarda anche le stronzate che scrivono.
Molly a questo punto risponde che come minimo devono ulularle queste dannate poesie, per essere così fastidiose.
Steve Austin è contrariato e ribatte a Molly che questi stronzi non ululano le poesie.
Questi scrivono cose come la metafisica delle stelle e i racconti dell’emozione, ma che cazzo vogliono dire?
Le leggono normalmente.
Molly osserva Steve con l’aria perplessa di chi pensa di esser preso per i fondelli. Ora è meglio che inizi a spiegarti, gli dice, perché non posso perdere altro tempo con queste idiozie.
Questi scrivono cose come la metafisica delle stelle e i racconti dell’emozione, ma che cazzo vogliono dire?, si chiede Steve Austin.
Dice che vogliono che vada da loro a queste feste, vogliono che legga poesie. Insistono.
Molly avvicina la seconda birra al bancone ascoltando sempre con più perplessità e attenzione. Gli chiede cosa c’è di male se l’hanno invitato alle riunioni di pazzi che ululano le poesie, sghignazza.
Lui dice che hanno lasciato nella sua cassetta postale dei fogli, è andato a ritirare la posta ed eccoli lì. Non bastavano le tonnellate di foglie secche di questo autunno che deve ancora pulire, dice. Arriva e poi trova pure questa spazzatura delle emozioni e delle stelle e della metafisica dei miei stivali. Si innervosisce dello scherno di Molly, dice che se non la smette fa il suo nome, così magari invitano lei a quelle cazzo di letture. Letture ad alta voce, ma questi hanno dei seri problemi, dice. Io voglio soltanto bermi la mia birra in santa pace, borbotta.
Molly ricorda a Steve Austin che lei è una donna molto impegnata e non potrebbe mai andare a quegli incontri. Anche perché ha molto da fare, come per esempio portare il proprio gatto al guinzaglio ogni sera. Non ha tempo, ripete.
Il vecchio Oscar seduto di fianco a loro si sveglia dal torpore dell’alcol e suggerisce di portare Molly da uno psicologo e non da questi altri pazzi, perché non è normale portare quel cazzo di gatto al guinzaglio. Suggerisce anzi a tutti i presenti di andarsene a farsi fottere.
Steve e Molly ignorano il vecchio Oscar.
Non ne può più di questi qua, ripete Steve. Molly gli chiede cosa ha fatto dopo che ha trovato l’invito.
Steve le racconta che si sono presentati alla sua porta per chiedergli di venire a qualche riunione di poesia e lui se l’è presa a male. Guardate che a me non interessa la vostra cazzo di poesia, gli ha detto.
Ha detto loro: io voglio sangue e azione. E una matita infilzata su per le narici. E un cervello modificato geneticamente dal luppolo modificato geneticamente, della birra artigianale modificata dalla genetica. E spappolato quel dannato cervello. Anche il fegato. E dei ninja che vanno in giro a darsele seriamente. Oppure delle macchine enormi diamine, enormi e un incidente con tanto di esplosione alla fine. E se proprio non riuscite a produrre questa roba che davvero vale la pena stare a guardare, trovate almeno un cane che sappia giocare con un pallone e che faccia il culo tanto a un vero giocatore di calcio. O un gatto di quelli che si spaventano con un cetriolo. Quei gatti mi fanno morire. E forse così leggo le vostre stronzate.
Non esiste la poesia! Non esiste e non interessa a nessuno!
Gli ha detto che non ha tempo per leggere di metafisica e delle emozioni, non esiste la poesia! Non esiste e non interessa a nessuno! Ha urlato a questi qua. E gli ha sbattuto la porta in faccia.
Io non ci credo nella poesia! Brutti hippie! Così ha urlato alla fine.
Molly gli dice di calmarsi, che ha fatto bene, di non prendersela per tutta la gente strana del mondo, tornandosene indifferente al suo lavoro.
Qualche giorno dopo Steve Austin esce e come ogni mattina va a prendere la posta. Apre la cassetta postale e trova un foglio. Il suo vicino che passa di lì lo saluta e lui ricambia a denti stretti. Si ferma e dice a Steve che non se l’è presa per l’altra volta. Vuole solo aggiungere che la poesia è ovunque, gli dice. Che è difficile sfuggirle. Dice che riesce a cogliere sempre l’essenza di tutto. La poesia è ovunque, ripete. Avrebbe voluto dirglielo l’altro giorno. È nelle foglie d’autunno e anche nelle passeggiate di Molly e di quel gatto felice nel parco ogni sera. Anche nella birra. Magari non in quella modificata geneticamente, Dio ce ne liberi. Ma è ovunque.
La lettura insieme è un modo come un altro di ubriacarsi, divertendosi in maniera diversa. E non c’è solo la metafisica e quelle palle di emozioni. E nelle riunioni dei vicini almeno non c’è Oscar che si sa è un rompipalle di fama mondiale. Sarà sempre il benvenuto, ma senza complimenti. Gli dice di leggere il foglio che ha lasciato nella cassetta dove ha scritto una poesia dedicata a lui, l’essenza poetica più emblematica, dice.
Steve Austin lo saluta con fare perplesso e si porta il foglio a casa.
Apre il foglio, legge la poesia, ripiega il foglio e abbozza un sorriso.
Che stronzo, pensa.