Eva e il bacio
Eva non sa perché lo ha fatto, all’inizio ha resistito, o almeno ci ha provato, è durato poco, meno di un minuto, quel bacio.
Lei quando bacia assaggia, la fame aumenta, non riesce a saziarsi, fame nervosa la chiamano. Ritorna a masticare con lentezza, ingoia brandelli di piacere. Chiude gli occhi, li riapre, spia l’altro perché vorrebbe scandagliargli il cuore. Lui il cuore non lo ha, o quanto meno non lo usa, e se lei potesse vederlo si accorgerebbe che è piccolo e distante, così non allunga nemmeno la mano per cercarlo.
Si conoscono poco. No, non si conoscono affatto. Non ce n’è ragione. Sì, lei aveva capito di piacergli dapprincipio, tre anni addietro, anche se l’era sembrato uno al quale le donne non piacciono. Un frocio per intenderci, (lei non usa queste parole, non sta bene). E invece a lui le donne piacciono, finge di non essere interessato, le considera “articoli” difficili da gestire e all’occorrenza da usare con cautela. Pare sia stato sposato, ma la storia è avvolta da un alone di segretezza e infarcita dal suo esibito disinteresse per l’argomento. I soliti pettegoli dicono che non è durata molto, la moglie pare lo tormentasse, lo stressava. Si racconta sia scappata con un cacciatore, ma esistono ancora i cacciatori?
Eva questo pomeriggio non si sente in forma.
Creiamo, le dice lui, insieme. Lei disegna ma solo se ne ha voglia, non sa fare nulla a comando, anzi non vuole.
Pensa che se fosse nata cane sarebbe stata un pessimo cane. Non avrebbe raccolto sassi o bastoni. Se ne sarebbe andata in giro.
Non ne ho voglia, dice lui.
Non capisce neppure se sono amici, gli amici si cercano, chiacchierano insieme. Loro mantengono distanze rigide, un perimetro di rispetto, un’area di separazione invisibile ma tangibile. Non si sono mai scambiati offese od insulti, neppure complimenti sperticati o esagerati. Non si sono scambiati mai nulla.
Eva stasera vorrebbe parlargli, chiedergli di questa nuova mania che gli ha preso. Prima il modellismo, tutti quei pezzetti senza apparente legame, poi il giardinaggio, anzi per essere precisi l’architettura da giardino.
Lui le porge un pennello.
Qua ci sono i colori e dei fogli, là delle pezzuole. Era stato quello sfiorarsi delle spalle, la mano che aveva toccato quella dell’altro nell’atto di passarle il foglio e poi la matita.
Non so se mi va. La luce non mi sembra buona.
Sei arrivata tardi.
Come sempre.
Io prima devo fare il disegno, non sono capace di dipingere direttamente senza uno schema di base.
Sei costruita.
In altri tempi si sarebbe offesa, ti aiuto, dice invece. Lui non alcun senso artistico, solo un’enorme voglia di cimentarsi in qualsiasi attività.
Guarda.
Un ordine, o una speranza a cui lei aveva ubbidito senza riflettere. Le piace avere la sua attenzione.
Così guarda, ma non il foglio e neppure il tratto infantile con cui lui abbozza lo schizzo.
Lei sta guardando lui, e ne è ricambiata.
Non sei capace, è l’ennesima follia.
Ride, non se la prende, esploderà in una delle sue fragorose risate sdrammatizzanti, è questione di una frazione di secondo ed è in quella che si baciano.
Lei aspira l’odore di trementina e lo mischia a quello delle sue labbra, rovescia un bicchiere con il piede, bagna la fascia del sandalo, le dita, sussulta. Lui continua come se nulla fosse, lei si lascia invadere dall’acqua e dall’acqua ragia, le donne non si conquistano, cedono solo se vogliono, a meno che non ci sia un porco che non accetta il no ed usa la forza (ma quelle sono altre storie).
Eva non ha né un marito né un compagno, eppure pensa di stare consumando un tradimento ai danni di qualcuno.
Se avessi più immaginazione avrei più resistenza dice tra sé, e si chiede come possa, mentre la sua lingua è impegnata in una piccola danza umida, tirare fuori simili aforismi.
E così pensa al suo primo bacio e sta per aprire la bocca e ridergli in faccia. Ricorda che aveva tenuto le labbra sigillate perché non aveva la più pallida idea di come si baciasse un uomo. tanto chiuse che quando il ragazzo si era fermato e l’aveva guardata serio si era ritenuta soddisfatta, che grande impresa! Con il successivo aveva cercato di documentarsi. Intercettava le riviste a cui era abbonata la vicina, il postino le sbagliava spesso cassetta. Aveva scoperto il sesso o meglio l’atto sessuale da un punto di vista strettamente scientifico, ma non era la scienza la risposta.
Adesso le mani, le braccia non partecipavano a quel bacio, il corpo immobile come se la cosa non riguardasse loro.
Non metterti a ridere, agli uomini non piace essere messi in discussione su questioni di sesso, diventano noiosi in maniera terribile e provinciali. Mordilo, sarà meglio. Le labbra si erano invece staccate e ritirate, chiuse su denti e lingue diverse che non si appartenevano. Gli occhi avevano cercato altre direzioni, altri oggetti. Lei si era concentrata sulla fascia del sandalo e sulle dita bagnate che si incollavano alla suola. Lo vede per la prima volta eppure se ne va.
Vado, dice.
Ok.
E lui aveva intinto il pennello.
Mi spiace ho versato l’acqua.
Ci penso io.
Aveva afferrato la borsa ed era uscita. L’aria calda le era arrivata addosso con la prepotenza di un ricordo, senza preavviso. Odore di alghe marcite, grandi cumuli sulla spiaggia. Le grida dei gabbiani le ricordarono la fame. Leccò il sale dalle labbra e si chiese se fosse il sapore di lui. Sale.
Solo uomini, donne no, fino allora almeno, si era chiesta cosa avrebbe provato, la bellezza femminile le piaceva, la protervia e la finta debolezza meno, ma non escludeva nulla. Non esisteva più un mondo in cui le certezze erano incrollabili, anzi.
Si ricorderà ancora di me il ragazzo che mi portò nello scantinato sotto il liceo?
E lui adesso starà pensando a quel bacio?
Aveva proseguito sul lungomare, i gabbiani voleva vederli oltre che sentirne il grido, aveva bisogno di ascoltare la voce della gente, di osservare i passanti e di sentire il mare. Le sarebbe piaciuto vivere in una casa su uno scoglio, in una casa che nulla riusciva a scaldare durante l’inverno, battuta dalle onde, l’acqua le avrebbe ricordato di essere viva.
Una panchina, un vecchio. Tra le mani un giornale, pochi fogli. Si era seduta tra lei e il vecchio aveva messo la borsa, che le linee di confine segnano tutta l’esistenza.
Le era arrivato l’odore, sapeva di salmastro e di abiti lavati con lentezza, era rimasta. Adesso sì che aveva voglia di disegnare. Aveva tirato fuori l’album e la penna dalla punta sottile. La gru metallica e le centinaia di uccelli che la adoperavano come un trespolo ricoprendone la superficie vertiginosa, li aveva sentiti urlare prepararsi al volo e poi tornare, attratti dallo scheletro freddo e immobile. Un uccello madre che non aveva cibo da offrire, ma sostegno. Il vecchio la guardava.
Dei vecchi detestava la fretta, non avete un cazzo da fare, pensava, eppure non avete pazienza, siete acidi come le donne che non sanno amare.
Il vecchio stava guardando il disegno.
Bello! Si era fatto più vicino.
Trova? I gabbiani sono essere crudeli, non c’è niente di romantico in loro. Mangiano persino la spazzatura.
Come gli uomini, spesso ci accontentiamo degli avanzi.
Lei invece li sta facendo belli, e anche la gru. Anch’io in fondo sono come loro, un vecchio volatile su una panchina fredda, e ho sempre fame. Ho divorato quasi tutto il mio tempo.
Tenga glielo regalo.
Adesso devo andare, devo chiedere ad un uomo squinternato che progetti ha nel suo futuro.
Baciò d’impulso lo sconosciuto sulla fronte e pensò che anche lui sapeva di sale.
Il vecchio era rimasto con il foglio in mano, lo mise tra i fogli del giornale magro che già era ora di tornare a casa. E mentre tornava si raccontava, che a casa non c’era nessuno, che lui ancora alle donne piaceva.
I gabbiani gridavano di sale e di fame.