Minorca: l’isola che mi è data
Ci devi credere che tutto sia realizzabile, innanzi tutto i desideri anche quelli più antichi.
I miei di desideri hanno spesso a che vedere con i libri. Molte volte con libri letti in tempi così lontani da essere potenzialmente sbiaditi. Anche questo di desiderio era lontanissimo. E di certo albergava in qualche subconscio che non trovavo più. Era il desiderio di finire a vivere e scrivere su un’isola. Un’isola pacifica e con qualcosa di retrò. Un’isola dove sentirsi accolta. Questo sogno aveva a che fare con un libro e telefilm dell’infanzia, Vacanze nell’Isola dei Gabbiani di Astrid Lindgren, la mamma di Pippi Calzelunghe. Raccontava la storia della famiglia Melkerson, capitanata da Melker, uno scrittore svampito padre di quattro figli, che va a trascorrere le vacanze su una piccola isola di qualche arcipelago svedese, Saltrakan.
L’immaginario potentissimo con cui sono cresciuta mi ha fatto sempre integrare letteratura fantasia e vita. L’Isola dei Gabbiani era nei giochi, in ogni luogo – anche diverso completamente da quella realtà
L’immaginario potentissimo con cui sono cresciuta mi ha fatto sempre integrare letteratura, fantasia e vita. L’Isola dei Gabbiani era nei giochi, in ogni luogo – anche diverso completamente da quella realtà – nel quale mi incapsulavo per vivere il sogno. Dei vari personaggi io mi sentivo Ciorven, una bambina paciocca e sincera che girava con un cane San Bernardo.
L’isola è rimasta nei desideri. Ne ho viste e amate tante, a partire da quelle dell’Arcipelago Toscano nel mare in fronte a cui sono nata. Ne ho scelte alcune poi che sentivo più forte. Tra le greche, una poco altisonante e a suo tempo più selvatica di quelle vicine, Sifnos. Nella lunga frequentazione naturalistica e culturale con la Sicilia e la Sardegna – divenute madrine di tante esperienze indimenticabili e di amicizie incorruttibili – mi rimasero incollate Motia, l’isoletta fenicia, e Spargi, un isolotto che stava davanti sull’orizzonte quando scendevo al mio mare, una spiaggia che guarda l’arcipelago della Maddalena.
A tutte le isole avrei pensato per realizzare questo sogno di andare a vivere e scrivere su un’isola. Ma certo non alle Baleari. Quelle erano sinonimo negli anni ‘80, di ostentati viaggi di nozze per gente che andava solo a farsi fotografare con il bikini tirato fino alle orecchie su qualche spiaggia simil-caraibica. Gente che non era mai stata neppure a Poggibonsi. People from Ibiza hai presente il tormento? Turisti tutti spiaggia locali e alberghi stile alveare. Tornavano con il ricordino per zia e suocera comprato in aeroporto. No, io alle Baleari – giuravo – non ci andrò mai. Non mi interessano. E anche a chi mi diceva che un paio erano diverse, quasi antiche, dicevo no.
Sono i figli che prima o poi stravolgono tutto, e così quando lo scorso inverno mia figlia si è auto-dichiarata “di turno” per scegliere la destinazione delle vacanze ho deglutito. Sarebbe finita male, lo sentivo. Ed ecco, dove stavamo per approdare? Alle famigerate Baleari, porca paletta: Minorca. Devo dire che foto online e guide raccontavano un’isola ben diversa da quelle che io aborrivo. L’isola del relax. Regina dell’ecologia. Si può girarla tutta a piedi lungo i ripristinati sentieri a cavallo. Parco marino e terrestre. Piccola, in parte ancora selvaggia, diversissima da costa a costa, con un forte carattere mediterraneo, pescatore. Fari, rocce lunari, fiordi naturali con bianchissime spiagge, macchia e pineta. Una città coloniale fortificata con il più grande porto naturale dopo Pearl Harbour, Mahòn, dove il flair mediterraneo si tinge di influenze anglosassoni; una cittadina ispanica dai colori andalusi e le facciate barocche, Ciutadela. Paesi a calce, acque turchesi, gente accogliente e solare. Mercati, odori, vino, cucina.
Rilassiamoci allora, abbandoniamo i pregiudizi, e partiamo.
I posti devono capitare al momento giusto è chiaro. E quello era un momento per me in cui dovevo decidere alcune cose. Sono stata un lavoratore autonomo tutta la vita, e cosa fare da grande è sempre un problema per chi non ha maturato una pensione di stato. Io poi, a cavallo tra tre paesi e diversi sistemi sociali. In mano il niente. Una dei tanti italiani che di sistema sociale ha solo la famiglia – se e finchè dura.
I posti devono capitare al momento giusto è chiaro. E quello era un momento per me in cui dovevo decidere alcune cose.
Minorca non è un paradiso fiscale. Chi ci va e ci apre una vita paga regolari tasse che sono alte su per giù come quelle italiane. Chiede permessi e svolge attività regolari e dichiarate. Paga persino una tassa per stranieri, congrua ma giornaliera, che serve al governo dell’isola per portare avanti progetti di ambiente ed ecologia. Non mi lamento se le cose sono giuste e funzionano. Voglio pagarle le tasse se mi ritornano in servizi e benessere, se il costo della vita è onesto e la gente sorride, e il caldo ti conforta trecento giorni l’anno.
Non sono io che ho trovato la casa, ma è lei che ha trovato me. E’ una storia di storie e persone che qui posso raccontare solo in parte perché non mi appartiene del tutto. Le persone sono due donne e un uomo; l’uomo è il signor Morrison. No, non è Jim, un’altra delle mie icone musicali: il signor Morrison in questione è l’ex proprietario di quella che ora è la mia casa. Le donne sono Isabel Petrus, fondatrice di Casas en Menorca: http://www.casasenmenorca.com/es/ – l’agenzia immobiliare che ha fatto da tramite per l’acquisto – e la sua collaboratrice Emanuelle, una ragazza francese dai capelli nocciola e la carnagione delicata che da Parigi si è trasferita a Minorca. Ho imparato che non si trova casa se prima non si trovano anime, storie, vicinanze. Il signor Morrison non l’ho ancora incontrato e non vedo l’ora di farlo. Lo conosco da come mi ha lasciato casa, ed è già diventato un personaggio mitico per me. Con Isabel siamo ora in amicizia. Ha un team fatto di sole donne; una piccola impresa al femminile. Adora il proprio lavoro e Minorca. Isabel scrive, ha pubblicato un libro di racconti. Suo figlio è giornalista.
Emanuelle è giovane, viene dall’estero come me. E’ bella e pulita, come Minorca. Come la mia casa, come dev’essere la vita.
Così, adesso ho casa sull’isola di Minorca, e un sogno per la mia pensione. Trasferirmi lì: vivere, scrivere, ospitare persone, conoscere altre storie.
Non è Saltrakan, e questi non sono gli anni ’60. Ma i desideri, se hanno la giusta dimensione nella vita, si realizzano. Magari nel modo che meno ti immaginavi, ma che importa. Ciò che importa è che niente sia così sbiadito e lontano da non ritornare vivo e vivido dentro di te, al momento più giusto.