Intervista a Rocío Molina
Ho incontrato Rocío Molina il 10 febbraio 2016 nei camerini del Teatro Ariosto di Reggio Emilia, dove la sera stessa ha portato in scena Afectos.
Non mi metterò a raccontarvi la biografia di questa grandissima artista. Vi dirò solamente che è davvero impressionante vederla nel camerino, così semplice, gentile e “normale” – passatemi il termine – e poi vederla la sera stessa sul palcoscenico in azione, quasi trasfigurata.
Ecco cosa mi ha raccontato.
Come nascono gli spettacoli di Rocío Molina? L’idea base nasce più frequentemente da un’illuminazione improvvisa o da un processo lento?
Nasce dalle due cose parallelamente. Innanzitutto da un processo lento nel quale mi fermo a pensare, ad osservare, a scrivere. Prendono forma delle immagini e tutto questo genera un movimento dentro di me. Poi tutto questo mi piace elaborarlo col regista con il quale lavorerò. Tanto io quanto lui esponiamo le idee che ci ronzano in testa, ci mettiamo lì a chiacchierare e a formare il tutto. Poi parallelamente mi piace lavorare sull’improvvisazione: mi aiuta molto per lasciare il corpo completamente libero e quando ne escono delle cose interessanti allora le continuo a sviluppare.
Mentre balli, dei piccoli movimenti del tuo corpo me ne ricordano alcuni visti nel mondo animale. Quanto influisce l’osservazione del mondo animale nelle tue coreografie?
In genere non mi fisso sui piccoli dettagli. Mi piace di più osservare le attitudini generali e collegare la visceralità degli animali con gli esseri umani. Mi baso di più sull’astuzia, la rapidità o la pesantezza e la lentezza dell’animale e il suo comportamento.
L’interpretazione in un teatro può essere una prova molto difficile nel momento in cui si hanno delle emozioni negative che girano per la testa, per motivi personali che non hanno nulla a che vedere con lo spettacolo. Ballare in un teatro, o in una peña, è un “qui ed ora”, dove non ci sono pause o scene che si possono tagliare come al cinema. Ti è mai capitato di avere difficoltà di questo tipo?
Sì, assolutamente. Ho avuto momenti molto belli e stabili ma ci sono stati anche giorni nei quali magari era successo qualcosa di brutto, o la giornata non era delle migliori, in cui le lacrime sono uscite fuori mentre ballavo. Mi è capitato molte volte. Il giorno in cui è morta mia nonna, il giorno in cui è morto Paco de Lucía, il giorno in cui è morto Manuel Soler – stavo a New York – sono giorni in cui ti metti a ballare e ti escono le lacrime. Come ci sono stati anche giorni così felici in cui mi sono emozionata con attacchi di risate… Sono momenti speciali nei quali si vede ciò che c’è veramente dentro di me e dentro la mia arte, mi mostro proprio come sto veramente quel giorno lì.
Cosa cerchi in una collaborazione artistica? Hai alcune collaborazioni stabili come quella con Rosario, per esempio. Qual è il tuo rapporto con i tuoi collaboratori, quali sono le tue aspettative?
Prima di tutto è importante capire quello che fa l’altro artista. Poi dare uno spazio di libertà ad ognuno perché faccia uscire il meglio che c’è in lui, soprattutto non intimidire o frenare nessuno. Con Rosario sono ormai 4 anni che giriamo con Afectos ed è meraviglioso perché vedi anche come l’opera evolve, cambia. L’importante è comunque rispettare ed ascoltare il corpo e la voce degli altri.
Le emozioni che senti prima di salire sul palcoscenico e quelle che nascono durante e alla fine, quando tutto finisce.
Prima c’è sempre un certo nervosismo, mi piace sentirlo, se non c’è mi preoccupo, mi dico: “C’è qualcosa che non va”. Divento silenziosa, mi piace concentrarmi. Poi quando comincio a ballare sono nel mio spazio e mi sento ogni istante sempre meglio. Lì non ci sono paure in genere, anche se sono stanca o se è una giornata particolare. Mi lascio trasportare dalla musica, dagli artisti e tutto funziona. Quando finisco, un senso di pace. Ho dato tutto. Se qualcosa non è venuto bene non importa, ma se non ho dato tutto ciò che avevo dentro mi sento un po’ triste. Ma in generale dato che provo sempre a dare il massimo mi sento bene. E poi mi viene fame!
Qual è stato il momento che ti ha emozionato di più nella tua carriera?
Non saprei… Mi succede nel finale di certi spettacoli, quello di Afectos, per esempio. C’è questa pausa che mi piace molto: sono ancora sul palcoscenico, molto stanca, sta finendo lo spettacolo, mi osservo, mi fermo, la musica molto bella, la voce di Rosario… È un momento molto speciale e ogni volta che lo faccio rimane speciale. Ma ci sono molti momenti, non te ne posso nominare solo uno. Momenti di particolare emozione o di folli risate con gli artisti…
Su YouTube uno dei primi video che escono fuori quando si cerca “Rocío Molina” è uno di quando ballavi una caña flamenca quando avevi 11 anni. Ti capita a volte di rivedere video del genere? Cosa provi quando li vedi?
[Ride] Mi vedo e dico “Cazzarola, ma non ballo molto bene!” Diciamo che non lo vedo neanche come qualcosa di così lontano, ovviamente è passato del tempo, ma neanche così tanto come se avessi 50 anni. Mi vedo molto simile, la faccia uguale – ho ancora la faccia da bambina! – quindi è strano. A volte mi dà malinconia perché uno nota le cose che il tempo porta via oltre a quelle che dà. Tutto ciò che è successo nel frattempo, l’ingenuità che si perde e così via.
Qual è il complimento più bello che ti hanno fatto fino ad ora?
Quando Mikhail Baryshnikov viene nel camerino dopo uno spettacolo e mi dice che è la cosa più bella che abbia mai visto con le lacrime agli occhi. È stato veramente un regalo. E poi quando una persona che non conosce nulla del flamenco, né di danza, con l’emozione negli occhi viene e mi ringrazia per averla resa felice. Mi riempie di gioia.
Qual è il modo migliore per avvicinarsi al flamenco da zero? Teoria, pratica, o…?
Prima di tutto ascoltare molto cante e molta chitarra. Io ho cominciato con la tecnica ma sempre parallelamente ad una forma di espressione libera affinché la tecnica non imponesse troppi limiti. Ma comunque io comincerei con l’ascolto. Poi la pratica ovviamente.
Se una persona non conosce nulla del flamenco, quale CD gli presteresti per presentarglielo?
Di Camarón, Potro de rabia y miel, di Paco de Lucía, Zyryab. Anche Antonio Caracol, un cantaor più facile per chi non conosce nulla di flamenco. Poi magari per vedere qualcosa di più recente gli darei Omega di Enrique Morente.
Ad ottobre presenterai alla Biennale di Siviglia il tuo nuovo spettacolo, che secondo la descrizione sembra essere molto particolare ed interessante: puoi parlarcene un po’?
La cosa più importante innanzitutto è che c’è stato un grandissimo errore nel comunicato stampa pubblicato: non è uno spettacolo, io non presento nessuno spettacolo nuovo. C’è stato un grosso errore ma ora dovrebbero averlo aggiustato. Sarà un’improvvisazione. Un’improvvisazione articolata in un modo particolare, con una durata di circa 4 ore, senza titolo. Alla fine dell’improvvisazione gli stessi spettatori avranno l’opportunità di lasciare un titolo scritto perché possano decidere come si chiama ciò che hanno visto. Inoltre il pubblico durante l’improvvisazione potrà interagire con me, e secondo le loro “modifiche” io farò una cosa o un’altra. L’improvvisazione evolverà anche attraverso le loro decisioni. Stiamo ancora vedendo come si può fare, ma l’idea è questa. Sarà come creare un’opera in diretta – da zero – e la responsabilità starà un po’ all’esterno, io offrirò il mio corpo perché succeda qualcosa… che ancora non sappiamo cos’è!
Grazie mille a Rocío per questa intervista, per la sua umiltà e per il suo talento. E soprattutto complimenti, perché con la sua improvvisazione ha vinto il Giraldillo al baile 2016. Qui sotto potete trovare un piccolo assaggio della sua arte.