Concerto Siciliano
Motya, L’Ultimo Rais, Scilla e Cariddi: prendete nota di questi titoli. Sono loro a comporre il Concerto Siciliano che consacra Germana Fabiano come parte autorevole della letteratura siciliana e nazionale contemporanea.
Con la sua opera d’esordio, Balarm, aveva rivelato subito un talento dirompente e una potenza immaginifica sorprendente, imponendosi con recensioni di grande livello sui media nazionali e un grande successo di pubblico.
Con La Luna Contro aveva disegnato una triade di racconti carichi di emozioni, poesia e ribellione.
Col romanzo storico che narra di un boia nel Medio Evo francese, ne In nome di Dio e per mano del diavolo, aveva stupito critica e lettori con una capacità di introspezione e di analisi dentro il duale dell’animo umano e del senso di colpa tale da rimandarmi istintivamente niente di meno che a un gigante come Dostoevskij.
Insomma, il talento artistico e narrativo di Germana Fabiano era già ampiamente noto. Una autrice meticolosa nella sua opera di ricerca e approfondimento, una scrittrice a volte difficile, dura, che non indugia in arzigogolii mielosi atti solo a intenerire il lettore, eppure capace in alcuni passaggi di dipingere poesia in narrativa e di toccare le corde dei sentimenti più profondi.
Tutto ciò – dicevo – lo sapevamo già. Eppure, con questo suo ultimo Concerto Siciliano, Germana Fabiano prosegue il percorso intrapreso, denotando una maturazione artistica, espressiva e contenutistica che non può non lasciare ammirati, per la qualità della narrazione, per i temi affrontati e persino per la scelta, certamente in controtendenza rispetto alle attuali prassi editoriali, di presentarsi al pubblico non con uno, bensì con tre romanzi distinti, anche se facenti parte di un progetto unitario.
Le due parole del titolo, Concerto Siciliano, sono, naturalmente, non casuali, ma racchiudono due elementi essenziali della trilogia; il primo è una suggestione avuta dall’editore Claudio Messina (Robin Edizioni), che alla prima lettura delle tre storie ebbe la sensazione di tre distinti movimenti musicali afferenti alla stessa opera, un concerto appunto; il secondo, è inequivocabilmente il tratto comune dei tre libri, e se vogliamo, di quasi tutta la produzione letteraria anche precedente di Germana: la Sicilia, la Sicilianità, l’insieme di contrasti e di forti contraddizioni che questa terra evoca. Germana nasce e cresce a Palermo, ma da alcuni anni vive in Germania, a Tubinga, dove insegna all’università. Ama riportare la celebre ripartizione dei conterranei in siciliani di scoglio e di mare: il legame viscerale la porta a sentirsi di scoglio, attaccata alla sua terra, ma col bisogno di guardare la Sicilia dall’alto, per avere una visuale migliore e il necessario distacco.
D’altra parte, la Sicilitudine permea fortemente ogni sua opera, per l’elemento fisico del mare, che è presente e centrale in tutti e tre i romanzi; poi, per contenuti e stile narrativo, per il fatalismo tragico che spesso caratterizza storie e personaggi, ma anche per la forza ribelle che porta le protagoniste, tutte anti-eroine al femminile, a scontrarsi col destino che le aspetta e che le vedrà quasi sempre inevitabilmente soccombenti.
C’è anche un altro Sud nel suo stile: a chi legge i suoi romanzi, inclusi questi ultimi, appare subito netta l’influenza della letteratura Sudamericana, col suo realismo magico che lei racconta di avere assorbito soprattutto dal suo autore forse più amato: Garcia Marquez.
Di questo e di tanto altro si è parlato venerdì scorso nella splendida cornice di Palazzo Butera, nella “sua” Bagheria, quando ho avuto il piacere di presentare Germana Fabiano e questa trilogia del Concerto Siciliano, e moderare poi il dibattito che ne è seguito, davanti a un folta e coinvolta platea, con la partecipazione della splendida attrice Rosamaria Spena, che ha letto diversi brani tratti dai tre romanzi.
Sono molti gli elementi o le figure che rimangono nel cuore del lettore, non solo tra i protagonisti principali dei suoi romanzi. La Fabiano ha questa capacità davvero fuori dal comune, di comporre affreschi, insieme ed accanto al filone centrale delle sue storie. I suoi sono libri corali, ricchi di volti e storie dentro le storie, e ogni figura, anche minore, è tratteggiata con tocchi rapidi ma profondi, come se ci fosse lo zoom sapiente di un regista consumato. Il suo stile a volte è quasi cinematografico. Memorabili, per esempio, le descrizioni, rapide, colorite, a tratti visionarie, che fa della eterogenea umanità di pescatori e isolani che abitano Katria (l’odierna Favignana); la storia si svolge a fine Novecento, quindi sostanzialmente nel presente. Vi si intrecciano temi di grande attualità sociale, come gli effetti della globalizzazione o i primi sbarchi di migranti sulle coste siciliane. Bella e commovente, tra le altre, è la narrazione del primo sbarco, dapprima lo stupore degli isolani e subito dopo la carica di umanità che li porta a sbracciarsi per accogliere questi ospiti inattesi.
Delle tre donne (anti)eroine al centro delle tre storie, Eleonora Greco, L’Ultimo Raìs, è forse la più intrinsecamente siciliana di tutte, per l’orgoglio e la forza con cui accetta quel che il Fato ha deciso per lei, insieme alla acutezza e alla dolcezza dei gesti, più che delle poche parole. È personaggio, per certi versi, femminile e maschile insieme. A parere del sottoscritto, una delle gemme più preziose tra le tante che pure Germana Fabiano è riuscita a concepire in questa trilogia.
Andando indietro di molti secoli e di poche miglia marine, ci spostiamo a Motya, all’epoca dei Fenici, dove l’autrice descrive un’isola di commercianti e navigatori, di ricchi signori e popolani, di uomini vittime e al contempo carnefici di se stessi e di Dei capricciosi, che li spingono al limite della umana resistenza. Qui Germana dimostra una grande abilità di studio e approfondimento storico, per affrontare un romanzo di non comune ambientazione, tra Fenici e Greci di Sicilia, tra divinità, tradizioni e superstizioni. In un intreccio denso di ritmo, di suggestioni e ingegnosi stratagemmi, seguiamo le gesta di Hiram, sacerdote in cui convivono carisma e demoni rovinosi, aspirazioni catartiche e perversioni, e soprattutto di Mescal: è lei, qui, l’eroina femminile capace di predire il futuro, e con esso la fine imminente dell’isola.
Tra Scilla e Cariddi, invece, si svolge nel futuro, ancorché prossimo. È un futuro con una specificità che lo rende di segno inverso a come siamo abituati a immaginarcelo, pieno di automi, robot e computer. Al contrario, la Fabiano ci presenta uno scenario dai toni vagamente grigi, a tratti quasi apocalittici, di una epoca in cui in seguito al “grande blackout” non c’è più alcun dispositivo informatico e dunque non esistono più telefonini, pc, insomma, il digitale è scomparso. In un regime semi-dittatoriale, che vuole imporre il Ponte sullo Stretto come simbolo del progresso, si muovono protagonisti che tentano di ribellarsi ad un’opera contraria alla tradizione che vuole che l’isola rimanga tale, con le terribili Scilla e Cariddi che, ai due lati dello Stretto, vigilano, pronte a scatenare la loro ira.
Grazia Lamantia, forse il più antieroe tra le tre figure femminili protagoniste dei tre romanzi, si trova suo malgrado a combattere una battaglia dalla quale si era sempre defilata. Figlia di un bibliotecario appassionato e romantico, anche lei ha doti magiche, sa predire il futuro, con la lettura delle carte.
Il finale… non lo sveliamo. Come sovente nelle storie di Germana Fabiano, è comunque un finale aperto e non scontato.
Buona lettura.