Angelica on a country road
We stay alone on a country road,
As a dry river falling in love with the mountain’s rocks.Siamo soli su una strada di campagna,
Come un fiume secco innamorato di montagne rocciose.
Esterno giorno. Ore tre del pomeriggio.
Vento soffia finalmente gelido e batte sopra i fianchi della valle.
Trascina giù vortici minuscoli di fiume, che schizza via rapido sotto ponte medievale.
Aria fredda di Alpi autunnali.
Interno giorno. Ore tre e cinque minuti.
Soggettiva. Parete bianca, superficie a buccia d’arancia. Luce anonima e intensa.
Tavolini deserti, sedie deserte. Televisione accesa su canale radio. Musica di sottofondo.
Ore tre e sei minuti.
Dettaglio. Occhi di giovane uomo, accesi da riflessi di fiume e di pareti bianche, scorrono dall’alto in basso su bottiglia d’acqua quasi piena, piatto di spaghetti appena svuotato, menu da osteria appena richiuso, orologio da polso quasi preciso.
Ore tre e sei minuti e trenta secondi.
Figura intera di donna sui settanta in piedi al bancone.
Corporatura robusta, piccola statura.
Cappello a falde tonde da assalto alla diligenza, ma imbottito con stoffa da peluche.
Faccia bonaria, occhi da gatto, denti precari.
Angelica.
Ore tre e sette minuti.
Campo medio. Uomo si alza da tavolo diretto al bancone.
Angelica intercetta sguardo distratto e chiede informazioni su partite di calcio improbabili: un Italia-Germania 4 a 3, giocata nel 1982 – se la ricorda, vero? – quando Pertini fumava la pipa.
L’uomo risponde per cortesia che certo che sì – se la ricorda senz’altro – partita coi fiocchi quella lì.
Ore tre e otto minuti e trenta secondi.
Primo piano. Uomo al bancone paga il conto. Facendo i conti con se stesso.
Quando tempo era che non incontrava un’anima sola?
L’inquadratura si allarga di poco. Alle sue spalle fa capolino il cappello di Angelica.
Angelica è la quintessenza della solitudine.
Una solitudine allegra. Una solitudine con gli acciacchi della vecchiaia. Una solitudine senza vergogna.
Non aspetta nessuno Angelica al bancone del bar alle tre del pomeriggio.
A settantanni col freddo che soffia nella valle Angelica è uscita di casa perché al bar, almeno, c’è la ragazza del bar con cui scambiare due improbabili chiacchiere su un argomento qualunque.
Siamo soli su una strada di campagna,
come un fiume secco innamorato di montagne rocciose.
Sembra che oggi il vento abbia voluto che l’uomo dagli occhi di fiume che scorre a valle, incontrasse un cappello a falde tonde.
Pago il mio conto e offro un caffè alla signora – se permette, signora.
Mi chiamo Angelica, dammi del tu.
E la donna prende la mano dell’uomo.
Senti, come ti chiami? Da dove vieni? Sicilianuzzu beddu!
Hai avuto qualcuno che è stato male a casa, da poco? Sai sono veggente e astrologa. Mi raccomando alla schiena, mi raccomando a guidare con attenzione. Te lo dico come una mamma, come una nonna.
Angelica cara, ti stringo la mano. Senza timore, con tenerezza.
Angelica cara, sì c’è sempre qualcuno che non sta bene in ogni casa, in ogni cuore c’è una ferita.
Angelica cara, ho una schiena che andrebbe rimessa un po’ a lucido, questo senz’altro.
Angelica cara, sono venuto qui con un passaggio, ma te lo prometto starò senz’altro più attento alla guida.
Angelica cara, adesso mi sa che ti saluto che sono le tre e quindici minuti e trenta secondi e deve continuare la sequenza.
Sai cosa intendo, il lavoro, il ritorno a casa, la famiglia.
L’inquadratura si allarga.
Il campo medio diventa un campo lungo e poi un campo lunghissimo.
Le figure scompaiono, diventano irriconoscibili.
Soltanto un cappello da western fa capolino sull’orizzonte delle montagne.
Un cappello da western improbabile.
Una comparsa angelica appoggiata teneramente su un fiume quasi asciutto, ma innamorato di rocce di montagna.