radici
Dovevo abbandonare la terra per comprendere che le voragini dove mio padre teneva i suoi piedi, e poi via via era prigioniero fin su alle gambe, non erano altro che radici. Non avevo riconosciuto il terreno, l’acqua piovuta aveva alterato gli odori, rimosso le zolle, spostato i punti d’osservazione.
Radici di un’unica pianta, avevamo visto il fiore, atteso il frutto, sperato che le foglie rimanessero salde, prima verdi, tenere, poi ingiallite, crepitanti sotto i passi.
Il tempo ci era caduto addosso, plasmato la madre, la figlia, la terra stessa. Noi eravamo una cosa soltanto. Un’unicità divergente.
Ripensavo a lui. Non spesso quanto avrei voluto, ma accadeva che qualcuno incontrato per caso me lo ricordasse, che addirittura una testa grigia confusa tra la folla sembrasse la sua.E allora risentivo la voce, la risata, quel suo modo di prendere in giro la gente pur rispettandola.
E se c’era un’altra cosa che me lo riportava alla memoria era l’acqua che scorreva (ma non sempre), dal ponte Corleone giù nell’Oreto, in quel fiume che per i palermitani è sinonimo di sporcizia ma che sotterraneo lambisce il cimitero più antico della città.
Ci si incontra in altri luoghi, magari per le scale di una casa che non senti mai abbastanza tua. Perché l’unica casa vera è quella in cui la voce era bambina e la mano piccina da stare dentro la sua. È così che dovrebbe essere, le nostre ombre diverse per altezza, l’una contiene l’altra, ma se l’albero cade, l’ombra sparisce.
Adesso durante l’autunno è negli alberi del bosco che ti cerco, tra le rughe della corteccia disegno linee che compongano un volto.
Ciò che resta comprende di aver smarrito parole ed occasioni e scopre le braccia trasformarsi in rami per afferrare avido affetti e ricordi. In piedi a raccontarti una storia mentre tu guardi la tv in bianco e nero, e io so che sei distratto, eppure resto là fino alla fine e tu non mi dici di andare via.
E il ricordo dovrebbe arrestarsi, non andare oltre, tenere separato il brutto dal bello, perché è stato un albero che in alcune stagioni non ha dato fiori, alcuni non si sono neppure schiusi, altri sembravano incolori.
Alla fine di un ottobre di melagrane, frutta di marzapane e dolci che ingannano la morte e di piogge improvvise io mi ricordo di te.
L’albero rimane, e sono figlia, sono madre, sono ogni cosa.