Finalmente potremo abbracciarci
Immagino che un giorno (che non sarà fatto di ore, minuti, secondi) tutte le storie di noi migranti verranno intrecciate alle nuvole. Incroceremo i nostri voli lì, finalmente potremo abbracciarci.
La bellezza è un incrocio di voli.
Noi abbiamo voltato pagina e siamo già sull’altra sponda del mare.
Un ragazzo giovane, molto giovane, guarda il mare. È africano. È uno dei tanti, uno dei mille e mille.
Ha gli occhi neri come la pelle, come i capelli.
Capelli corti e neri, come quelli di un africano nato sotto il deserto. Guarda il mare.
Guarda il mare e vede Asante galleggiare. Vede solo Asante galleggiare. Vede solo Asante.
Sul filo dell’acqua appare la mano di Asante. Dondola dolce e fa capolino dall’acqua. Le dita si appoggiano leggere alla linea dell’acqua. Dolci, belle quelle dita.
Nere, belle, sulla linea trasparente dell’acqua. L’acqua accarezza le dita. L’acqua sfiora le dita, solletica le dita di Asante.
Il mare gioca con la mano di Asante. Stringe e culla il corpo che è riemerso dal fondo.
Riemerso dai minuti che ci sono voluti per renderlo leggero e fluttuante sul filo del mare.
Il ragazzo è nero, come i suoi occhi, come il suo cuore.
Ha due luci nere negli occhi, puntate dritte verso la verità.
Apre lo sportello del frigorifero, mentre i notiziari danno tutti la stessa notizia insopportabile.
Apre quel maledetto frigorifero e tira fuori una limonata con l’intenzione convinta di berne un sorso.
Poi rimane interdetto. Non c’è nessuna limonata nel frigo.
La bottiglia che tiene in mano è fredda e vuota come il guscio trasparente di un ricordo gelido.
Tutto il mondo crolla sotto i suoi piedi, sprofondato nel mare.
Upendo ha una forte emicrania. Il ricordo di quella bambina lo segue, come l’ombra segue il gatto.
E il gatto segue l’ombra, per catturarla.
Non scappa da quel giro infernale. Non ci riesce.
Noi siamo passati all’altra sponda del mare, quando volterò questa pagina maledetta?
Teme qualsiasi risposta a questa domanda.
Ha già chiuso e mille volte riaperto quella immagine nel suo cervello. Quella immagine non riesce a cestinarla.
La memoria di Upendo funziona in modo ancestrale.
Upendo ha una memoria di roccia affrescata con ceneri e tratto incisivo da artista rupestre.
Una memoria primitiva che lo costringe a strappare da se stesso se stesso.
Il sole non è tramontato prima che avessimo raccolto dal mare il cuore di Asante ormai spento.
L’ho fatto io. Ho voluto distendermi, piegarmi, sporgermi io sul mare.
Le ho preso le mani e le ho avvicinate a me, delicatamente l’ho accompagnata alla barca.
Ho parlato col mare. L’ho pregato di restituirla al vento e alla terra.
Lui me l’ha consegnata.
Ho sollevato il suo corpo sul mare, sopra il filo fluttuante del mare. Ho poggiato la sua testolina accanto al mio petto caldo.
Raccolto il colore del suo vestito solare, strappando quel sole all’acqua profonda e celeste.
Ho restituito Asante al respiro del cielo, lì dove deve brillare il sole.
L’ho ricoperta di uno straccio colore argento, perché non sentisse più freddo.
Immagino che un giorno (che non sarà fatto di ore, minuti, secondi) tutte le storie di noi migranti verranno intrecciate alle nuvole. Incroceremo i nostri voli lì, finalmente potremo abbracciarci.
La bellezza è un incrocio di voli.