Fottere la morte
E poi, d’improvviso, hai un lampo.
Mentre guardi l’auto sfrecciarti accanto, mentre cerchi l’ennesimo aereo a basso costo per l’ennesima fuga travestita da viaggio di lavoro; mentre scrivi alla lei di turno cercando di capire se possa essere, finalmente, la fata capace per magia di acquietare la tua irrequietezza; mentre guardi il bambino impaurito attraversare la strada mano nella mano alla madre; mentre pensi a tutt’altro tentando disperatamente di non pensare a niente: ti arriva il lampo illuminante.
Passiamo la vita a tentar di fottere la morte. Invece di vivere davvero
La risposta a tutta quell’ansia verso chissà cosa, a quella sensazione di spreco costante, nello stesso momento in cui cerchi di non sprecare nemmeno le briciole.
Passiamo la vita a tentar di fottere la morte. Invece di vivere davvero. A neutralizzare l’idea di quella spada sulla testa, lontana, in qualche puntino lassù. Invisibile, ma sapendo che c’è. Ad esorcizzare questo spettro innominato e sotterraneo, a preparare un ghigno beffardo da esibirle, quando si presenterà, per dirle: fai quello che ti pare, tanto io ti ho fottuta, ho giocato d’anticipo, ho fatto tante di quelle cose che tu ormai con me non puoi nulla.
Eccetto portarmi via.
Malgrado il tuo fastidioso incombere, la mia vita ha avuto un senso. L’ho riempita di un senso, ho fatto le scorte per l’inverno. E casomai per l’eternità. Ovunque sia, paradiso, inferno o nulla assoluto.
Ho fatto soldi, carriera, figli che rimarranno dopo di me, ho vinto guerre, sono diventato un luminare, uno scienziato, ho scritto libri e canzoni, ho dipinto quadri, ho vinto campionati, trofei, medaglie d’oro o di cartone. Ho avuto, ho preso, ho dato, ho realizzato, ho accumulato, sempre credendo di avere un qualche progetto superiore.
Ce l’avevo davvero, poi?
Ho avuto donne, forse più di quelle che davvero mi interessavano perché ogni lasciata è persa e chissà se torna ancora, domani. Ho bevuto quando non avevo sete e mangiato quando non avevo fame. Come se non fossi certo di poter bere e mangiare anche domani.
Ho affogato l’ansia di avere e fare tutto quello che potevo. Spesso, sai, anche quello che in fondo neppure desideravo, che in fondo non mi importava. Tutto per riempire quel vuoto, tutto solo per fottere lei, povera stronza.
Passiamo la vita a riempirla di senso, di sensi, di pieni con cui riempire vuoti infiniti. Per poi guardarci allo specchio e illuderci che quei vuoti non esistono più. Tutto meravigliosamente pieno, meravigliosamente compiuto. Sfioriamo con la ruota il precipizio, restiamo in bilico, siamo al capezzale di qualcuno che non ce l’ha fatta e piangiamo, per il dolore, per la perdita, col sollievo che non sia toccato a noi: non abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi, non siamo pronti, ci serve ancora tempo.
Malgrado il tuo fastidioso incombere, la mia vita ha avuto un senso. L’ho riempita di un senso, ho fatto le scorte per l’inverno. E casomai per l’eternità
Tempo. Tempo…
E acceleriamo ancora. Corriamo. Corriamo, quando dovremmo fermarci.
Passiamo la vita a tentar di fottere la morte, invece di vivere davvero. Invece di sederci comodi in poltrona e guardarci dentro. Parlare con quell’io tenuto laggiù, distante, quasi in castigo. Accarezzarlo, invece di massacrarlo di sensi di colpa e accuse di inadeguatezze. Invece di rallentare e chiederci se il senso sia vivere, solo vivere. Senza cercare nessun senso. Invece di amare veramente, di amare come si deve, che poi è la sola cosa che rende la vita degna di essere vissuta.
Amare, solo amare. Vivere, solo vivere.
Senza per forza pensare di fottere la morte. Che tanto la morte non la fotte nessuno.
Foto di Erika Sichera o prese dal web