Ogni cosa
Dovevo abbandonare la terra per comprendere che le voragini dove mio padre teneva i suoi piedi e poi via via era rimasto prigioniero fin su alle gambe, non erano altro che radici. Non avevo riconosciuto il terreno, l’acqua era piovuta, alterato gli odori, rimosso le zolle, spostato i punti d’osservazione. Il tempo ci era caduto addosso, plasmato la madre, la figlia, la terra stessa. Eravamo una cosa e una soltanto. Una unicità divergente, radici di un’unica pianta, avevamo visto il fiore, atteso il frutto, sperato che le foglie rimanessero salde, prima verdi, tenere, poi ingiallite, crepitanti sotto i passi. Sempre uguali ripetute stagioni dove la migrazione è in petto, ma l’albero resta, si scrolla di dosso nidi ormai vuoti e uccelli impazienti. Ciò che è sciupato, riconosce di aver perduto occasioni e tempeste.
L’albero rimane, e sono figlia, sono madre, sono ogni cosa.