L’inquietudine degli asintoti
Magnifico e triste, il destino degli asintoti.
Ecco! Ci sono. Mi avvicino a te. La distanza si riduce d’un infinitesimo in ogni istante di tempo. Più mi avvicino e più rallenterò la mia corsa. Sarà la paura di sfiorarti, di vedere la tua interezza.
Il nostro cammino è regolato da leggi implacabili e universali. Forse non ci raggiungeremo. Il nostro traguardo è nell’indefinito infinito. Laggiù dove le nostre mani potrebbero toccarsi e stringersi.
Non so se accadrà veramente ma correremo l’un verso l’altro. Quella è la meta.
Nella notte vedo una stella e ho sempre cercato l’innesco tendineo sul muscolo in grado di farmi volare laggiù.
Non l’ho mai trovato e il tempo è fuggito.
Furono ali di carta nel tempo dei giochi. Ricordo. Le appoggiai sopra un colle e attesi il coraggio di proiettarmi nel vuoto lungo il pendio. Ma fu troppo lunga l’attesa e il vento deturpò le mie ali, la pioggia le inumidì e il sole le incenerì.
Nel tempo dei sogni fu l’idea folle di volteggiare su piste gelate. Su di esse scivolai ancor prima di mettermi in piedi. Mi feci del male. Non ci provai più.
Nel tempo del cuore è stata la voglia di amare, sentire, vedere, capire. L’impulso vitale che spinge a vagare nel cosmo del sentimento e delle emozioni. Andai. Ogni piccolo passo riduceva la distanza, ma la corsa rallentava prima di giungere al limite estremo, all’approdo finale.
Noi procediamo lungo un oscuro binario di cui non vediamo la fine. Forse ci spinge una smania… frenata da mille timori nascosti. Forse è una debole fede, un sogno che sfuma al risveglio. Forse soltanto un miraggio.
Magnifico e triste è il destino degli asintoti.
Tendiamo le mani per poi ritrarle impaurite prima che possano accarezzare. Come sentirsi attirati dal canto d’un usignolo e ascoltare incantati, sapendo che mai ne coglieremo il messaggio. Come ammirare estasiati una vita che nasce o che muore, senza comprenderne il senso profondo.
Ciascuno di noi è a-sým-ptōtos e come gli asintoti non siamo inclini ad intersecarci. Nasciamo e viviamo per tendere l’un verso l’altro nel grande Universo, ma senza trovarci. Lo spazio fra noi si riduce senza annullarsi.
La direzione è quella del punto lontano dell’infinito che forse non c’è o non sarà mai raggiunto.
Non è certo l’ultimo quell’orizzonte che abbiamo di fronte, ma ad esso comunque miriamo e su esso contiamo e speriamo. Lo sogneremo, lo adoreremo e gli andremo incontro, come se fosse l’ultima meta.
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
L’illusione è la linfa vitale, la forza capace di vincere il limite dove gli asintoti si toccheranno. La dolce utopia che sa cogliere l’immensità in un battito d’ali di carta, su una pista gelata, nel sogno dorato d’un tenero amore.
Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
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*I versi sono tratti da “L’infinito” di Giacomo Leopardi