Gianmaria Testa – Il passo e l’incanto
E questa è, la vita. Si arriva senza far rumore, e quando si va via anche il frastuono, il dolore, prima o poi perdono la terza dimensione e diventano un’immagine senza sonoro. Continua il passo. Questo penso quando tengo le spalle appoggiate al muro del solito locale dove vado a bere. Questo penso quando ascolto storie di sconosciuti chiedendomi se li rivedrò mai. Questo penso quando sono ubriaco. Un cielo enorme da guardare che sta sopra tutti noi e ci guarda a sua volta. Non fa domande, non da risposte. Sta lì e basta, come noi. Di tanto in tanto cambia, come noi. Poi ritorna uguale, come avrete già capito chi. Ci guarda, il cielo. Entrare nella vita di qualcuno, abbandonare quella di qualcun altro. Ridere e scherzare, annoiarci e piangere. Muoverci tra il passo e l’incanto. L’incanto che ci fa restare, il passo che ci rimette in cammino quando è l’ora. E l’ora, va da sé, è sempre quella sbagliata. Troppo presto, troppo tardi. O forse è che salutare è sempre brutto, che sia un luogo o una persona. Ma sulle strade già percorse a volte si ritorna, e si sente il profumo di quei fiori mai appassiti, di amori innaffiati ogni giorno in silenzio. Oppure si parte per non tornare più. Un eterno andare e venire, fino all’ultimo viaggio. Cosa resta, se non le orme dei nostri passi? Se non le storie, degli occhi con una sfumatura in più con cui scrutare il mondo, un sapore sulle labbra di sigarette e rum, e il solito locale su cui appoggio le spalle, da cui vado via con o senza frastuono, e arrivo sempre senza far rumore. E questa è, la vita.