Cutugnu retrogusto amaro
Nel dialetto della mia terra c’è un’espressione: u’ cutugnu. Indica un frutto. Ma anche un sapore amaro, un retrogusto, uno stato emotivo. Una condizione dell’anima, una sensazione che sta sottopelle, appena percettibile esteriormente. Qualcosa che avvertiamo in certi momenti, non sempre, ma che arriva, prima o poi, come una folata di vento, annunciata da nuvole grigie oppure all’improvviso. E si alterna ad altri sapori, a volte scompare del tutto, altre volte coesiste persino col dolce, come un tutto insieme indistinto e contraddittorio.
Umido dentro, eppure tutto quel fuoco… a che serve tutto quel fuoco?
Cutugnu, frutto amaro, nodo che si avviluppa in gola, sta lì e non scende. Sorrisi tristi, argilla sotto i piedi, tutto quel pieno che alla fine è vuoto. Umido dentro, eppure tutto quel fuoco… a che serve tutto quel fuoco?
Cutugnu. La sensazione di vuoto alla testa come dopo una sbronza. L’ubriacatura è vivere, chissà quando è stato che hai alzato il gomito, mai mettersi alla guida, dopo.
Cutugnu, nella traiettoria degli stracci che volano coi brandelli di sogni, progetti e le costruzioni più sacre venute giù con una pioggia d’estate che si è lasciata divenire tsunami. Ci sarà stato qualcuno che ha lasciato uno spiraglio di finestra aperto, da cui è filtrata acqua, vento, corrente, tempesta, devastazione. Come se servisse a qualcosa, e fosse possibile, stabilirlo con precisione.
Cutugnu, scoprire di aver corso a perdifiato, da non avere più respiro e ritrovarsi sempre fermo nel deserto. Non sapere dove mai sarà la lancetta verso il Nord, sul quadrante di questa bussola che ti avevano garantito avrebbe funzionato quando stai per perderti, invece è proprio allora che si blocca.
Cutugnu, tutta quella saggezza apparente buona solo a rivestire l’incapacità di vivere. E nessuna università e nessun docente che sappia insegnare la materia. Ordinaria instabilità, la stanchezza di rimanere in piedi mentre la nave balla tra le onde, sentire che non ce la fai, eppure insistere a non mollare mai.
Cutugnu, nella linea sottile tra chi c’è e chi non c’è, o non c’è più. Ti hanno detto che il distacco non conta, che tanto chi ami continua a vivere dentro di te, nei ricordi e nel cuore. Ma quando allunghi le mani per gli abbracci, non trovi le braccia che cerchi. Rimane solo il sapore amaro dell’assenza.
Quella vecchia signora che sembra tutti vogliano evitare, eppure lei appare e scompare, si lascia intravedere e poi ogni tanto piomba alle spalle e presenta il conto, senza dilazioni
Cutugnu, tutta quella fatica per annaffiare e curare gli alberi, le piante, le foglie intorno e svegliarsi all’improvviso e intorno vedere il deserto. Quella vecchia signora che sembra tutti vogliano evitare, eppure lei appare e scompare, si lascia intravedere e poi ogni tanto piomba alle spalle e presenta il conto, senza dilazioni. A nulla sono valsi slanci, affanni, bocconi amari e deliri di onnipotenza. Sicurezze di squadra che squadra non era. Giri lo sguardo prima lentamente, poi in modo convulso, non c’è nessuno, urli e non c’è nessuno, guardi una infinità di persone e non c’è nessuno, solo rumori di sottofondo: dunque, è proprio lei. E’ lì, sghignazzante e sorniona. Ti dicono che la solitudine interiore fa bene, che fa crescere, che quasi la devi anelare, raggiungere, difendere con cura. Sarà
Cutugnu, retrogusto amaro che non se ne va: nemmeno con quintali di zucchero. Minuti, ore, giorni. Il tempo, come e quando vuole lui, scioglie il nodo in gola e trasforma u’ cutugnu in un frutto dolce. Subito, alla fine di un sogno, dopo un buon caffè, per una telefonata inattesa, per uno sguardo che ha sciolto tutta l’amarezza. Perché quel retrogusto non può durare per sempre. E non dura, infatti. La giostra va, scende e sale, basta accettare, deglutire ogni tanto, assaporarlo tutto quel retrogusto amaro, finché il nodo scompare e torni a deglutire libero e a riprendere energia. Più carico di prima, più dolce di prima, la giostra va così. Coesiste tutto, ci sono sempre più facce in quella medaglia, più sapori lì sulla gola, sensazioni opposte sulla soglia fatidica tra sopra e sotto pelle. E il retrogusto amaro du’ cutugnu, in fondo, non è poi così amaro. Forse
Le foto sono di Erika Sichera, tranne l’ultima e quella di copertina, che sono tratte dal web