Due mani stanche
Non dimenticherò mai le sue mani e quella gelida notte.
Un magico suono mi avvolgeva l’anima come morbida coltre calda e leggera. Il Notturno rimescolava il sussurro del vento e la luce gialla dei lampioni filtrava tra le persiane e mi tingeva d’un debole chiarore venato di ombre.
Chiusi gli occhi. Mi sembrò di vedere le piccole dita sottili volteggiare sui tasti come piume impalpabili. Il suono fluiva dalle candide mani alle braccia e al resto del corpo come soffio d’aria tiepida. Poi piano si dissolveva in un fischio di vento e nel buio.
Conoscevo bene quelle mani. Ogni sera attendevo l’ultima nota e l’ultima debole fiamma del mio caminetto. Morendo, entrambe le cose decretavano la fine del giorno.
Il lavoro di medico mi portava su e giù per i vicoli stretti del piccolo borgo montano. Tra le ripide strade avevo deciso di alleviare sofferenze, lenire qualche dolore e con essi, la mia anima inquieta.
Il suono fluiva dalle candide mani alle braccia e al resto del corpo come un soffio d’aria tiepida
Marianna era più d’una paziente per me. Da ragazzo avevo visto la sua piccola casa brulicare di gente che imparava a suonare. Amavo il sorriso melanconico della maestra che scivolava sui tasti e volava con tutta se stessa insieme alle note. Aveva insegnato anche a me ad amare la musica.
La scelta di essere un medico mi aveva portato lontano per molti anni. Tutta una vita di sogni, ambizioni e vaghe utopie, si era alla fine conclusa. Le note e gli accordi continuavano a vivere dentro di me, legate alla figura gentile che mai avevo smesso di amare. Un legame profondo, puro, mai dichiarato.
Scivolava sui tasti e volava con tutta se stessa, insieme alle note.
Ero rimasto solo, dopo la partenza dell’ultimo figlio e la morte improvvisa di mia moglie. Quasi inseguendo un impulso vitale ritornai nel piccolo borgo montano, dov’ero nato. Vi ritrovai Marianna come sempre felice di donare il suo unico amore, la musica.
Quella sera ero triste, sconfitto, impotente davanti a un nemico impietoso. Da qualche mese sapevo che lei ormai settantenne, era affetta da un male incurabile. Le sue mani si deformavano ogni giorno di più e i farmaci erano sempre meno efficaci. Continuava a suonare nonostante il dolore e la fatica. Non riusciva a staccarsi dalla tastiera. La sua casa ormai sempre vuota risuonava lungo i vicoli come uno strumento musicale.
Stavo per andare a dormire, una sera come tante, quando la musica s’interruppe di colpo. Rimasi impietrito. Ero certo. Il Notturno non era finito. Sperai che il rumore del vento avesse offuscato le ultime note ma l’aria si era calmata. Il silenzio era profondo.
Presi la borsa e uscii.
Davanti al portone mi fermai un momento. Suonai trepidante. Lo sguardo del dolore di lì a poco si svelò ai miei occhi. Marianna mi guardava immobile, pallida e spenta. Sollevò le braccia verso di me. I suoi occhi erano colmi di lacrime.
Le sue fragili mani si erano arrese.
La visitai. Il polso era regolare e il cuore non manifestava sofferenza. Solo le mani apparivano deboli e inerti.
Rimasi con lei e parole d’amore sgorgarono libere e pure dal cuore e dalla memoria. Il sonno poi giunse per ridonare al suo volto un aspetto disteso e sereno.
Il pianoforte era lì. Muto. Sembrava un amico tradito.
Ritornai a casa mia. Ruzzolai dentro il pozzo di un sonno profondo. Sognai… Non so cosa.
Mi svegliai con un solo pensiero. I raggi del sole inondavano la stanza, donando la luce a una nuova speranza.
Cercai i miei vecchi spartiti. Li infilai nella borsa e corsi da Marianna.
Era in piedi. Sembrava tranquilla. Le dissi del mio desiderio.
Parole d’amore sgorgarono libere e pure dal cuore e dalla memoria.
La magia della musica mi donava il sorriso di lei.
Io le donai le mie mani.
Per le strade del borgo danzano ancora le note di un vecchio pianoforte ingiallito e un chiaro di luna rischiara il mio cielo nelle cupe notti d’inverno.
*I due brani musicali inseriti nel testo:
– Chopin-Nocturne for piano No.9
– Beethoven-Sonata Chiaro Di Luna