Nostalgia
Ci sono dei momenti in cui si prova una lacerante nostalgia per quello che non è stato. Che volendo ragionarci sopra è una cretinata pazzesca: come è possibile sentire il vuoto per qualcosa che non ci ha mai riempito?
Coniugi domestici, sui rispettivi trespoli, eccovi al mattino spiumati, arruffati, pronti a beccare il mangime del quotidiano, così uguale, secco e monocromatico
E si percepisce, (ciliegina su un bignè, che una torta sarebbe esagerata!), il gelo dell’indifferenza per ciò che invece è.
Sarebbe a dire? La tua ordinary life, la vita con il tuo uomo, sì, oggi lui è un marito addomesticato, questo è innegabile, ma non consolatorio. Coniugi domestici, sui rispettivi trespoli, eccovi al mattino spiumati, arruffati, pronti a beccare il mangime del quotidiano, così uguale, secco e monocromatico.
Quando arriva lo spillone della nostalgia (che non è la parola giusta ma non l’hanno ancora inventata quella giusta), il tempo ha già fatto un minuzioso, paziente lavorio. Dovrebbero per legge, quindi, essere aboliti gli specchi dalle abitazioni dopo quindici, venti anni di convivenza. Ti guardi e comprendi di non appartenere ad alcun luogo, è casa ma non lo è. E ti chiedi: ma quella chi è? Due tre minuti al massimo, il tempo di un giro della puntina su un 45 giri e la nostalgia, parola inadeguata, finisce nel buco del lavandino mentre sputi l’ultimo residuo di dentifricio.
Ti guardi allo specchio e vedi lui. Ma che vuole, pensi, lui ha il suo bagno, questo è mio, luogo sacro e inviolabile. Che ci fa dentro il mio specchio?
Posso usare il tuo? Il mio è finito.
Sta implorando per il tubetto del dentifricio, glielo porgi come se gli stessi dando uno strumento chirurgico in sala operatoria. Sorridi, denti sbiancati, alito che potresti anche baciarlo, se lo volessi.
No, lui non si è ancora lavato. Non vuoi.
Non strizzarlo, per favore.
Gli sfiori le dita in una promessa di felicità rimandata, archiviata. Stai estraendo l’ultimo spillone.
Il matrimonio è una scelta: quella di restare. Poter decidere di amare e di non lasciarsi strizzare dai ricordi e dalle possibilità mancate.
Non sei una giocatrice, non hai la pazienza di attendere che la pallina raggiunga la casella, non ti affidi alla sorte. Nello specchio ci siete tu e la tua aspettativa d’amore e rabbia. Spegni anche la radio, danno sempre le stesse canzoni, schiavi delle case discografiche padrone dei giochi.
Ti spogli ed entri nella vasca, una doccia in piedi, è tardi, lo fai con attenzione, non hai più vent’anni, la porta è accostata, mai chiusa a chiave, a che servirebbe?
La testa sotto il getto d’acqua. Chiudi gli occhi.
Non sai da quanto tempo è là, a guardarti, mentre ti accarezzi il corpo, che non è soltanto insaponarsi, ma è consolare quel corpo che non capisce perché tu ce l’abbia tanto con lui.
Non lo senti. È entrato per rimettere a posto il dentifricio, sa quanto ti incazzi facilmente, l’acqua intanto è nelle orecchie, in bocca, un po’ amara (lo shampoo), si, ecco, quella cosa che si chiama quasi nostalgia, è amara. Non ti accorgi di lui. Non sai da quanto tempo è là, a guardarti, mentre ti accarezzi il corpo, che non è soltanto insaponarsi, ma è consolare quel corpo che non capisce perché tu ce l’abbia tanto con lui. È un gesto intimo e trasali quando senti la sua mano sulla spalla. Ma non lo dai a vedere, hai più vergogna per quel gesto d’affetto nei tuoi riguardi che per il tuo corpo, non hai più vent’anni. Vuoi che continui. Deve farlo.
Adesso usa entrambe le mani, le lascia scorrere assieme all’acqua.
Ti chiedi se possa ferirsi con quegli stramaledetti spilli che sta portando via assieme alla schiuma e al malumore. Gli sei grata perché in fondo lui ti conosce.
Prima di baciarlo, gli dici, sì, baciami, hai lavato i denti.