Manuale semiserio di viaggio – Bogotà
Non torno a Bogotà ormai da tanti anni. Per cui mi è parsa un’ottima idea convalidare la mia malinconia in un manuale semiserio per invitarvi a conoscere la città dove sono nata.
Le operazioni nostalgia sono il mio forte definitivo.
Forse perché essendo cresciuta nel mondo delle telenovelas, amo rendere la vita più divertente con un po’ di sano dramma.
Forse perché essendo cresciuta nel mondo delle telenovelas, amo rendere la vita più divertente con un po’ di sano dramma.
Per quello e perché sono terrona e sudaca. Non c’è niente di pragmatico e moderato in me.
Così, me ne sto un giorno seduta pensando in cosa crogiolarmi e guardo il cielo: potrebbe essere una giornata soleggiata e tiepida o fredda e piovosa, la verità è che a me il tempo ricorderà sempre Bogotà. Soprattutto ora che abito nella splendida Val di Susa. Quando vivevo in Sicilia operazioni nostalgiche c’erano ma erano molto rare e veloci. A Palermo devi stare sveglio e sopravvivere (amo Palermo e ho già detto che sono esagerata).
Bogotà è una città grandissima. Quando si arriva in aereo, quelle rarissime volte in cui non trovi nuvoloni densi fino al suolo, si inizia a vedere tessuto urbano molto prima di atterrare. Case su case su case. E ti chiedi: dov’è finita la terra?
I muiscas avevano pensato a un’ottima posizione per piantare le tende. Un altiplano circondato da splendide montagne chiamate i cerros. Dall’aereo vedi queste povere montagne cercare di racchiudere l’impossibile, circa otto milioni di abitanti, che camminano, vivono e lottano a circa duemilaseicento metri sul livello del mare. Molto alto, diciamo. Bellissimi cerros che controllano e osservano sempre tutto, sospettosi e allerta perché non sanno per quanto ancora potranno contenere tutta la pazzia che abbracciano.
Bogotà è un posto dove non c’è bisogno di sapere dov’è la stella polare per orientarsi.
La città è composta da calles e carreras e da piccoli si impara che le prime vanno da sud a nord e le seconde da oriente a occidente, tenetelo in mente se ci andate, Bogotà è un posto dove non c’è bisogno di sapere dov’è la stella polare per orientarsi.
Ricordo bene che quando ci vivevo non l’amavo particolarmente. Forse il concetto d’amore di uno spazio così vasto non mi era molto chiaro, neanche adesso a dire la verità. In Europa sì, mi è capitato di amare una città in lungo e in largo, di abbracciarla tutta perché riuscivo a contenere tutto quanto, ma lì no.
Bogotà è enorme e diciotto anni di vita vissuta dentro non sono sufficienti per conoscere neanche una minima parte della sua vastità. Anche perché per molti di quei diciotto anni, non ho avuto molta autonomia di movimento. Per cui diciamo che io amo (e ricordo) soltanto certi posti, certi odori, alcuni alberi solitari in sopravvivenza d’asfalto. Molto cibo. Tante persone.
Oppure finirete per dover sentire un maresciallo della polizia che vi dice, “bella la Cambogia?”
Mettiamo che un giorno qualcuno di voi finisce per voler andare a conoscere Bogotà. La Colombia è un paese bellissimo. Quindi andateci. Non avevo chiarito che Bogotà è la capitale della Colombia ed è meglio dirlo, perché non bisogna mai fare affidamento sulle conoscenze geografiche delle persone, oppure finirete per dover sentire un maresciallo della polizia che vi dice, “bella la Cambogia?”.
Ma aspettate un attimo, se ci andate pensando di trovare i protagonisti della serie Narcos allora chiudete questa pagina subito perché non possiamo essere amici. Rimanete ancorati al PC, agli anni novanta e ai luoghi comuni nocivi. Però se siete anime curiose, vi dico due o tre cose che ritengo potreste fare a Bogotà e che io farei di nuovo qualora ci tornassi.
Andrei subito da mia zia Miriam a bere la cioccolata e sedermi sul divano della nonna Barbara per sbirciare terrorizzata il loro cane che abbaia dalla finestra del patio (ma forse mia zia non sarebbe tanto contenta di avere tanti ospiti così, si confonde facilmente). La cioccolata si beve con i pezzetti di formaggio dentro e si accompagna a delle delizie di panificio chiamate almojabanas y pandebonos. Chiedete così e fidatevi, ma non alla zia Miriam per favore. Non tutti. Il suo cane è uno stronzo.
Andate a camminare in giro per diverse zone della città (per l’amor del cielo non vi mettete a parlare al cellulare mentre camminate e se vi state chiedendo perché, io vi dico che non si fa e basta! E anche perché se lo fate ve lo portano via con tutto l’orecchio) e osservate le diverse architetture: in un solo giorno potrete fare un viaggio storico tra case coloniali, architettura vittoriana, grattacieli iper-moderni, razionalismo anni’70.
Andate ai parchi. Scegliete tra tutti quelli che ci sono perché sono dei polmoni pieni di vita e perché solo nei parchi di una città si ha una visione d’insieme, si parla con la gente e si conosce un luogo. Sedetevi su una panchina mangiando Chocoramo e bevendo Colombiana. Sembrerete perfettamente del luogo.
Uscendo un po’ dalla città, andate in un piqueteadero (una specie di bettola d’autostrada), i migliori sono quelli pieni di camion. Prendete el almuerzo ejecutivo completo. Se sopravvivete a ciò che noi chiamiamo ACPM (arroz, carne papa y maduro), potete definirvi dei veri rolos.
Ho scherzato un po’ con questa dissertazione per parlare di un tema, difficile da trattare in una rubrica chiamata La farloccosofa, ma che mi sta molto a cuore. In Colombia si sta firmando un importante trattato di pace con il gruppo guerrigliero FARC. Ci sarà una consultazione popolare su molti punti dell’accordo e se potessi io voterei sì. E magari non vi interessate di geopolitica, pazienza, ma intanto vi ho fatto venire voglia di farvi un bel viaggetto. Saludes a todos.