Fabrizio De André – Sinan Capudan Pascià
Se vi è mai capitato di percorrere l’autostrada A12 nel tratto tra La Spezia e Camogli e se i vostri occhi non erano troppo impegnati a cercare quel mare di cui in quel tratto, sebbene Liguria sia, non c’è traccia, allora vi sarete accorti dell’orografia un tantino proibitiva del paesaggio ligure di levante. Gole ripide e strette dove il sole osa solamente poche ore al giorno, montagne severe, verzura indecisa tra il modello mediterraneo e quello continentale, aree di servizio scavate nel ventre del rilievo o a precipizio sul nulla.
Madonna mia, direte voi. E se guardate più in alto avrete modo di vedere paesi impossibili aggrappati alla sottana di titanici rilievi. Guardate a quei paesi e lasciate che la domanda vi sorga spontanea: perché? Eh già, perché, viene da chiedersi, costruire un paese lassù, dove le uova rotolano verso valle e le persone devono camminare legate a lunghe corde elastiche?
Ma forse la domanda andrebbe riformulata: quanta paura bisogna avere di ciò che sta a basso per nascondersi lassù in alto? Tanta. Il mare è sostentamento, ma dal mare giungono i pericoli maggiori. I saraceni ad esempio, quei loschi figuri che rapiscono gli uomini e li utilizzano come schiavi. La memoria delle genti ligure è ricca di suggestioni derivate dall’eterno imprevisto che prende il nome di mare. Si tratta per la maggior parte di leggende, ma non mancano le storie vere.
Come quella di Sinan Capudan Pascià, in origine Vincenzo Cicala, catturato dagli ottomani durante la battaglia di Gerba e costretto alla conversione all’Islam. Entrò nel corpo dei Giannizzeri e scalò le gerarchie turche fino a divenire Gran visir. Una storia di successo, forse una delle poche, narrata da De André in questa canzone.
Gente tosta questi liguri, capaci di raddrizzare situazioni disastrose e agganciare le case ai contrafforti appenninici.
E quindi la loro opera merita un’occhiata, suvvia. Che tanto il mare fino a Rapallo non si vede e le corsie d’emergenza, beh, delle corsie d’emergenza vi auguro di non aver bisogno.